GLI INCROCIATORI TRA LE DUE GUERRE
Vita operativa degli incrociatori classe “TRENTO”
Il Trento fu consegnato alla Marina dal Cantiere Orlando di Livorno il 3 aprile 1929, cinque anni dopo l’ordinazione (25 marzo 1924), mentre il Trieste, costruito dallo Stabilimento Tecnico Triestino, era stato consegnato poco prima il 21 dicembre 1928.
Ancora fresche di vernice, le due navi costituirono la Divisione Incrociatori della quale prese il comando, imbarcandosi l’11 maggio 1929 sul Trento, l’Ammiraglio di Divisione Ferdinando di Savoia.
Il 16 maggio la Divisione lasciò La Spezia recandosi a Barcellona dove rimase fino al primo giugno. Quattro giorni dopo la Divisione rientrò a La Spezia e venne sciolta essendo in programma, per il solo Trento, una crociera nell’America del Sud motivata dalla opportunità politica di mostrare la bandiera su una grande nave della nuova flotta italiana negli stati sudamericani dove la popolazione di origine italiana era molto numerosa.
Il Trento partì da La Spezia il 23 luglio 1929 al comando del C.V. Vladimiro Pini. Toccò i porti di S. Vincenzo di Capo Verde, di Rio de Janeiro e di Santos in Brasile, di Montevideo in Uruguay, di Buenos Aires e Ilha Grande in Argentina e quindi fu nuovamente in Brasile a Bahia e poi a Las Palmas e a Tangeri al ritorno. Giunse a la Spezia il 10 ottobre.
Un anno dopo, il 15 settembre 1930, il Trento partì per una nuova crociera, questa volta nel Mediterraneo orientale toccando Salonicco, Stampalia, Rodi, Lero e Nauplia. Era al comando del C.V. Inigo Campioni che sarebbe poi divenuto il comandante della nostra Squadra Navale nel 1940. Rientrò a La Spezia il 21 novembre 1930.
Un’altra importante missione fu compiuta ancora dal Trento nel 1932, sempre nel quadro di quella politica di presenza navale nelle zone calde del mondo allora perseguita dall’Italia assieme alle altre grandi potenze mondiali. In Cina, dove, come è noto, l’Italia possedeva una concessione a Tien-Tsin, era in corso il conflitto con il Giappone. Il 4 febbraio 1932 il Trento, che aveva imbarcato una compagnia da sbarco del battaglione S. Marco, al comando dell’Ammiraglio di Divisione Domenico Cavagnari e scortato dal cacciatorpediniere Espero. Partì da Gaeta per andare a rafforzare la Divisione Navale dell’Estremo Oriente allora composta dall’incrociatore Libia e dalle cannoniere Caboto e Carlotto.
Durante il trasferimento verso le acque cinesi, le due navi toccarono i porti di Hiereapetra, Porto Said, Aden, Colombo e Singapore, giungendo a Shangai dopo un mese esatto di navigazione. Il 14 maggio successivo il solo Trento iniziò la navigazione di ritorno sostando ad Hong Kong, Batavia, Colombo, Aden, Porto Said e Rodi. Giunse a La Spezia il 30 luglio 1932, in tempo per prendere parte alle manovre estive del quell’anno.
Sugli scali del cantiere Ansaldo a Genova Sestri, s stava intanto costruendo un nuovo incrociatore della classe “Trento”: il Bolzano, che fu l’ultimo degli incrociatori italiani Washington (fra il 1924 ed il 1931 erano stati costruiti i quattro incrociatori classe “Zara”). Si trattava in realtà di una nave che in molte sue caratteristiche era diversa dal tipo “Trento” e lo era totalmente nel suo aspetto esterno. Si usa assimilare il Blozano ai “Trento” perché nel suo progetto, elaborato fra il 1928 ed il 1929, si era partiti dal presupposto di migliorare il progetto dei “Trento” dei quali era stata adottata la stessa carena.
Il Bolzano, impostato l’11 giugno 1930 fu varato il 31 agosto del 1932 e completato il 19 agosto del 1933. Il Bolzano, per l’omogeneità delle caratteristiche, andò ad aggiungersi al Trento ed al Trieste per formare la II Divisione della I Squadra Navale. Il 2 dicembre 1933 ne assunse il comando l’Ammiraglio di Divisione vincenzo De Feo che alzò la sua insegna sul Trento, sempre preferito agli altri come sede del comando di Divisione.
Nel luglio 1934 la Divisione cambiò numerazione divenendo la III Divisione Navale e tale rimase in seguito anche per tutto il resto della guerra fino alla sua distruzione.
Dal 23 al 26 giugno 1934 il Trento fu in Albania, a Durazzo. Nel gennaio 1935 il comando della III Divisione fu assunto dall’Ammiraglio Vladimiro Pini che il 18 giugno trasferì temporaneamente la sede del Comando sul Trieste. Dall’8 al 20 marzo il Trento aveva compiuto una breve crociera nel Dodecaneso.
Il 17 giugno 1936 iniziava la guerra civile in Spagna. Il Governo italiano firmò, il 28 novembre 1936, un protocollo segreto con il quale si impegnava ad assicurare ogni aiuto e sostegno al Governo nazionalista. Da allora il contributo italiano alla lotta, in materiali, armi uomini ed appoggio diplomatico, dapprima modesto e segreto, si fece sempre più scoperto e massiccio, mano mano che la guerra si prolungava e che le varie potenze europee scoprivano le loro carte. Così l’impegno della Marina italiana a protezione del traffico diretto ad alimentare lo sforzo bellico dei nazionalisti e ad interdire quello avversario, avvenne si può dire, alla luce del sole. Il blocco coste sotto il controllo del Governo di Madrid, proclamato dal Governo del Generale Franco e che non avrebbe potuto essere mantenuto dalle scarse forze nazionaliste, fu assicurato, in Mediterraneo, dalle navi italiane che, per paradosso, operavano nella “quasi legalità”, dato che il Comitato Internazionale di non intervento aveva adottato un progetto di limitazione del traffico del materiale da guerra diretto alle due parti e ne aveva affidato l’esecuzione ad alcune nazioni neutrali fra le quali l’Italia e la Germania, Tali azioni furono svolte prevalentemente da naviglio leggero e sommergibile e le navi maggiori fornirono solo un appoggio indiretto. Questa pagina di storia è ancora poco conosciuta perché gli archivi non hanno ancora rivelato i loro segreti. Non siamo in grado quindi di fornire dettagli sull’attività del Trento, Trieste e Bolzano in questo periodo, sicuramente limitato però a crociere di vigilanza nel Mediterraneo occidentale.
Il 1 ottobre 1936 il comando della III Divisione fu assunto dall’Ammiraglio Riccardo Paladini, sempre sul Trento. Negli anni fino al 1940 le navi della III Divisione oltre ad effettuare il normale servizio addestrativo di squadra, effettuarono brevi crociere nel mediterraneo orientale, in Grecia ed in Libia.
Nel 1939 furono aggregati temporaneamente alla III Divisione gli incrociatori leggeri Da Barbiano, Di Giussano, Colleoni e Diaz. La scorta era formata dall’11^ e dalla 12^ Squadriglia cacciatorpedinere (Artigliere, Camicia nera, Aviere, Geniere e Lanciere, Corazziere, Carabiniere ed Ascari).
TRENTO, TRIESTE E BOLZANO NELLA SECONDA GUERRA 1940-1945
Nei precedenti fascicoli di questa collana, nel narrare le azioni nelle quali furono protagoniste ed oggetto le corazzate, si è tracciata nelle grandi linee la storia delle operazioni delle Forze Navali di superficie appartenenti alla Squadra Navale. Manca ancora la narrazione di molti episodi di cui furono protagoniste le nostre forze navali per completare un quadro generale sia pur tratteggiato a grandi linee - la battagli di Capo Spada, l’episodio di Capo Matapan, la battaglia di Pantelleria, i molti scontri delle forze leggere, le operazioni nel Maro Rosso, la scorta dei convogli, ecc. - Di tutto ciò sarà detto quando parleremo delle navi che ai singoli episodi presero parte. Per i sommergibili, mas, mezzi di assalto, sarà un discorso a parte perché questi mezzi condussero la loro guerra in modo indipendente dalle operazioni condotte dalle Forze Navali di superficie. Questa, lo abbiamo ripetuto più volte, non vuole essere la storia della Marina italiana nella seconda guerra mondiale, già da tanti e molto autorevolmente trattata, ma la storia delle singole navi, inquadrata, naturalmente nel quadro generale del conflitto. Da questo fascicolo in poi, quindi, ritenendo inutile ripetere notizie sugli stessi episodi già trattati in precedenza, ci limiteremo ad una cronologia degli avvenimenti degni di nota riguardanti, nel caso di questo fascicolo, gli incrociatori Trento, Trieste e Bolzano, cronologia però che, evitando di essere una semplice elencazione di date, si soffermerà sugli episodi particolari relativi alle navi stesse.
10-11 GIUGNO 1940 - PRIMA MISSIONE DI GUERRA DELLA III DIVISIONE
Il 10 giugno 1940 la Divisione, al comando dell’Ammiraglio Carlo Cattaneo, si trovava dislocata a Messina in funzione dello schieramento già assunto dalle nostre Forze Navali in previsione della entrata in guerra. Alle 19,10 dello stesso giorno il Trento ed il Bolzano, assieme al Pola (nave ammiraglia, fuori formazione della II Squadra alzante l’insegna dell’Ammiraglio di Squadra Riccardo Paladini) ed a quattro cacciatorpediniere, presero il mare per riunirsi, il mattino del giorno 11 con la VII Divisione (4 incrociatori leggeri) proveniente da Napoli e spingersi poi fino a nord di Favignana in appoggio ad operazioni di esplorazione notturna e posa mine eseguite da cacciatorpediniere ed incrociatori leggeri.
Tutto questo spiegamento di forze per appoggiare operazioni di modesta entità, anche se importanti come l’inizio della messa in opera dello sbarramento con mine nel Canale di Sicilia, era stato programmato in previsione di un comportamento aggressivo delle forze navali Anglo-francesi che invece, in quei giorni non si verificò.
12 GIUGNO 1940 - MISSIONE DI RICERCA DEL NEMICO
Non appena rientrata alla base dalla missione precedente, la III Divisione ne ripartì, alle ore 02,00 del 12 giugno per cercare di intercettare due incrociatori segnalati da un nostro ricognitore a sud di Creta. Per lo stesso scopo uscirono da Taranto due divisioni di incrociatori e due squadriglie di cacciatorpediniere Tale imponente impiego di mezzi (8 incrociatori e 16 cacciatorpediniere) era giustificato dal sospetto che vi fosse in mare una forza avversaria più numerosa di quella segnalata Supposizione fondata perché una grossa formazione inglese comprendete due navi da battaglia ed una portaerei stava eseguendo una ricognizione offensiva fra Creta, Capo Matapan e bengasi, mentre forze francesi di stanza ad Alessandria, rastrellavano la zona dell’Egeo.
Tranne però quell’unico avvistamento del nostro ricognitore, non ve ne furono altri e citiamo questo episodio a riprova della difficoltà di incontrarsi in uno specchio d’acqua sia pure ristretto come il Mediterraneo centrale, e dalla inefficienza di entrambe le ricognizioni.
Leggendo della guerra in mare si cercano battaglie, scontri, eroici affondamenti, tutti episodi che avvincono la fantasia e colorano di tinte sanguigne il racconto. Ma la guerra, questa guerra lunga, estenuante, inesorabile, sofferta dai marinai dell’una e dell’altra parte, è fatta invece di giornaliere inutili fatiche, di navigazioni vuote di episodi, ma con l’insidia sempre presente, di notti passate nel freddo e nella paura, nell’attesa tormentosa di un colpo improvviso che cancelli tutto, la nave, le speranze, la vita. Chi si domanda ora perché l’azione risolutiva non avvenne, perché il successo non fu conseguito, si chieda anche cosa sia costato, giorno per giorno, questo sacrificio costante e se esso non valga altrettanto dell’epica esaltante di una battaglia.
Occorre dire, a chiusura di questo episodio che un successo tuttavia quel giorno fu conseguito da parte nostra: l’affondamento dell’incrociatore contraereo Calypso avvenuto fra le 02,00 e le 03,30 del 12 giugno ad opera del nostro sommergibile Bagnolini e l’affondamento del sommergibile Odin in agguato a sud di Taranto, ad opera di nostri cacciatorpediniere, Trento e Bolzano e le altre navi dislocate a Messina, alle ore 09,00 del 12 erano già tornate alla base.
22 GIUGNO 1940 - MISSIONE DI RICERCA DEL NEMICO
Nel tentativo di intercettare l’intenso traffico che si svolgeva fra la Francia e l’Algeria, fu effettuata una uscita in forze con la VII Divisone di incrociatori leggeri ed una squadriglia di cacciatorpediniere e con l’appoggio a distanza del Pola, 1^ Divisione (“Zara”), 2^ Divisione (“Bande Nere”) e £^ Divisione “Trento” con la scorta di tre squadriglie di cacciatorpediniere. Non fu trovata traccia di navi nemiche.
7-9 LUGLIO 1940 - BATTAGLIA DI PUNTA STILO
Nei primi giorni di luglio del 1940, alcuni movimenti navali (nostro convoglio diretto in Libia e contemporaneo movimento di un convoglio inglese diretto a Malta) portarono, come è noto, all’incontro fra la nostra Squadra navale e la Squadra di Alessandria che dette origine alla breve battaglia detta di Punta Stilo.
La 3^ Divisione, composta dai soli Trento e Bolzano in questa occasione, prese il mare la sera del 7 luglio. La navigazione si svolse senza incidenti, la Divisione navigò tutta la notte di conserva con le navi della 11^ Divisone (“Zara”) con rotta verso le coste della Cirenaica, Il giorno 8 il nostro convoglio giunse senza contrasti a Bengasi ed alle 14,30 le nostre navi iniziarono il ritorno verso le acque nazionali dirigendo, essendo ormai nota la presenza in mare del nemico, verso la zona a levante della Calabria. Poco dopo le 19,00 una dozzina di bombe lanciate da un gruppo di bombardieri nemici, cadde in mare presso i nostri incrociatori. Cessato il fuoco della contraerea sulle acque di nuovo tranquille, si allungarono le ombre della sera. Sopravvenne una notte calma e calda durante la quale la Divisione “Trento” ricevette l’ordine dal Comando della II Squadra sul Pola di accostare per nord per allontanarsi da una zona nella quale erano stati segnalati sommergibili nemici. Così facendo le navi della 3^ Divisione si trovarono verso le 04,00 a levante del gruppo delle nostre corazzate. L’Ammiraglio Campioni, comandante superiore in mare, rimasto all’oscuro del movimento, quando seppe che erano state avvistate grosse ombre a levante delle sue navi dove poteva trovarsi solo il nemico mandò i cacciatorpedinere dell’8^ e 15^ squadriglia ad attaccarle. Fortunatamente dopo il lancio di due siluri i cacciatorpediniere riconobbero il profilo dei “Trento” e desistettero.
Il mattino del giorno 9, in previsione del prossimo incontro con il nemico, l’Ammiraglio Campioni fece conoscere ai comandanti di Divisione lo schieramento che voleva adottare. Il Trento ed il Bolzano, in particolare, avrebbero dovuto formare un’unica colonna con gli altri quattro incrociatori pesanti condotti dal Pola. Dopo le 13,00 mentre gli incrociatori raggiungevano il punto di riunione per lo schieramento, subirono un violento attacco di aereosiluranti provenienti da ponente che si avvicinarono con estrema decisione da poppa sino a distanza di 1000 metri dal bersaglio. Il Trento fu una delle navi particolarmente prese di mira, ma manovrando con abilità riuscì ad evitare i siluri. L’attacco aereo denunciava la prossimità del nemico. Nella giornata limpidissima, con il mare percorso da un vento leggero che sollevava piccole onde, il Trento ed il Bolzano erano in testa agli altri incrociatori diretti al primo incontro con gli inglesi; gli armamenti dei pezzi erano già pronti al fuoco, a bordo si sentiva quasi materializzata l’eccita<zione che precede la lotta.
Alle 15,20 si udì il rombo delle salve della VIII Divisione (“Duca degli Abruzzi”) che aveva iniziato il tiro contro gli incrociatori inglesi i quali, a loro volta, qualche minuto prima avevano cominciato a sparare sui nostri cacciatorpediniere della 9^ squadriglia. In quel momento gli incrociatori pesanti della 1^ e 3^ Divisione si trovavano dietro la linea delle nostre corazzate, rispetto al nemico, e forzavano l’andatura per sopravanzarle e mettersi in testa allo schieramento. Gli incrociatori leggeri continuarono il fuoco fino alle 15,30 poi si disimpegnarono essendo entrate in campo le corazzate dei due gruppi avversari. Fra le 15,50 e le 16,00 tutti i nostri incrociatori pesanti si erano portati in testa al gruppo delle corazzate a distanza utile per il tiro ed iniziavano il fuoco (in particolare il Trento iniziò a sparare alle 15,55 ed il Bolzano alle 16,00). Era previsto che anche i grossi incrociatori tirassero sulle corazzate nemiche per compensare in qualche modo l’inferiorità dei nostri grossi calibri, ma poiché gli incrociatori inglesi, dopo che i nostri incrociatori leggeri si erano disimpegnati, avevano spostato il tiro sui nostri pesanti, questi ultimi furono costretti a controbatterli. Solo il Trento e lo Zara ebbero modo di sparare alcune salve contro le corazzate inglesi: il Trento le prime 3 e lo Zara le ultime 6. Gli incrociatori inglesi con un tiro ben raccolto riuscirono a mettere a segno tre granate perforanti sul Bolzano (ore 16,05): una a poppa che mise in avaria il timone bloccandolo sulla sinistra, una sulla volta del cannone di dritta della torre 2, che però potè continuare a sparare, ed una infine nella camera di lancio a poppa che danneggiò due tubi lanciasiluri. La nave, con il timone incastrato compì una volta tonda sulla sinistra, ma subito riprese il suo posto in formazione essendo stata nel frattempo riparata l’avaria. Due minuti prima però, come è noto, era stata colpita la Cesare da un proiettile da 381 e l’Ammiraglio Campioni, giudicando che la menomazione della nave mettesse la nostra Squadra in stato di inferiorità, aveva accostato in fuori per rompere il contatto con il nemico, mandando nello stesso tempo all’attacco i cacciatorpediniere per costringerlo a fare altrettanto. Il Trento cessò il fuoco alle 16,00, il Bolzano alle 16,20. Il primo aveva sparato per poco più di 5 minuti, il secondo per 20.
Mentre cessava il fuoco fra le navi maggiori, nove aerosiluranti inglesi “swordfish”, lanciati dalla portaerei Eagle, attaccavano la testa della nostra formazione credendo che lì si trovassero le corazzate; si accorsero troppo tardi dell’errore e lanciarono contro il Bolzano che li accolse con un intensissimo foco contraereo che forse disorientò gli assalitori perché nessuno dei nove siluri lanciati minacciò la nave.
La sera, alle 21,00 la 3^ Divisione rientrava a Messina, assieme alla Cesare, al Cadorna e a due cacciatorpediniere. La sera del 12 luglio il Bolzano e la Cesare, con scorta, proseguirono per La Spezia per procedere alle riparazioni.
30 LUGLIO - 1 AGOSTO 1940
Il Trento fece parte della scorta a distanza di un gruppo di convogli diretto in Libia.
28 AGOSTO 1940
L’Ammiraglio di Divisione Luigi Sansonetti sostituì sul Trento, l’Ammiraglio Cattaneo al comando della Divisione.
31 AGOSTO - 1 SETTEMBRE 1940 - CONTRASTO ALL’OPERAZIONE INGLESE “HATS”
La 3^ Divisione lasciò Messina con 8 cacciatorpediniere per riunirsi alle altre forze partite da Taranto e da Brindisi. Il nemico non venne rintracciato e, a causa di una violenta burrasca che si era frattanto levata, la Divisone fu fatta rientrare a Taranto anziché a Messina.
7 SETTEMBRE 1940
L’Ammiraglio Sansonetti si trasferì sul Trieste.
7-9 SETTEMBRE 1940
La Divisione partì da Taranto essendo state segnalate navi nemiche in uscita da Gibilterra. Le navi si appoggiarono a Napoli e rientrarono il 9 a Messina.
29 SETTEMBRE 1940
Altra uscita assieme a tutta la Forza Navale nell’intento di contrastare segnalati movimenti avversari.
6 OTTOBRE 1940
La 3^ Divisione, scortata dalla squadriglia “Artigliere”, prese il mare il mattino del giorno 6 per scortare, assieme ad altre navi, due motonavi veloci dirette in Egeo (l’operazione aveva la sigla CV ed era stata in precedenza più volte rinviata). La ricognizione aerea dell’Egeo segnalò però la presenza di una grossa formazione inglese e le nostre navi rientrano nella stessa mattina de 6 alle loro basi (l’operazione CV non venne più eseguita).
12 OTTOBRE 1940
La 3^ Divisione e la 14^ squadriglia cacciatorpediniere partirono da Messina per prestare appoggio ad alcuni cacciatorpediniere reduci da uno scontro notturno con incrociatori inglesi a levante di Malta, Nella stessa mattina del 12 la Divisone rientrò a Messina.
21 OTTOBRE 1940
Nell’imminenza della guerra con la Grecia (dichiarata il 28 ottobre) la Divisione si trasferì a Taranto.
11-12 NOVEMBRE 1940 - ATTACCO INGLESE ALLA BASE DI TARANTO
Il Bolzano ed il Trieste, giunti a Taranto da pochi giorni, erano alla boa in Mar Piccolo nelle posizioni indicate nel grafico ed il Trento era ormeggiato alla banchina torpediniere assieme ad altre grosse navi. Tutte queste unità subirono l’attacco diversivo dei bombardieri nemici effettuato per distrarre l’attenzione dall’attacco principale condotto dagli aerosiluranti. Cinque “swordfish” bombardieri (degli 8 previsti) giunsero sull’obiettivo ed eseguirono passaggi a bassa quota, sui 500-600 metri, sulla fila di navi ancorate in Mar Piccolo che costituivano un ottimo bersaglio, e sull’Arsenale. Di una sessantina di bombe sganciate solo 20 circa furono dirette contro le navi e di queste una gran parte cadde in mare fra una nave e l’altra o di prora ad esse. Le uniche due che colpirono, fortunatamente, non esplosero, e fu gran ventura, perché gli inglesi con questo attacco, sia pure secondario, ma condotto con grande decisione, avrebbero potuto, disponendo di armi migliori, causare gravissimi danni.
Le due bombe andate a segno colpirono l’un il Trento in corrispondenza del complesso binato da 100 prodiero di sinistra, ed una il cacciatorpedinere Libeccio. Pur non esplodendo la bomba che prese il Trento causò uno squarcio nello scudo del complesso, forò il ponte e si arrestò nel locale sottostante. Si sa pure, con certezza, chi lanciò la bomba, Fu l’aereo condotto dalla coppia Clifford-Going, che lanciò 6 bombe alle ore 00,30 del 12 novembre.
12 NOVEMBRE 1940
Considerata insicura la base di Taranto, le navi della Squadra partirono il mattino subito dopo l’attacco, Le navi della 3^ Divisone tornarono a Messina.
16 NOVEMBRE 1940
La Divisione lasciò Messina e, assieme alle rimanenti forze navali partite da Napoli, compì una puntata verso occidente in seguito alla segnalazione dell’uscita della squadra inglese da Gibilterra.
26-28 NOVEMBRE 1940 - SCONTRO DI CAPO TEULADA
La 3^ Divisione, con l’Ammiraglio Sansonetti sul Trieste e con la scorta della 12^ squadriglia “Lanciere” su tre unità, lasciò Messina alle ore 12,30 del giorno 26 per riunirsi, 70 miglia a sud di Capri, con le altre navi uscite da Napoli. Le due Divisioni di incrociatori pesanti, la 1^ e la 2^ con il Pola sede del comando della seconda Squadra comandata dall’Ammiraglio Jachino presero posto, su due colonne a cinque miglia di distanza l’una dall’altra, a proravia delle due navi da battaglia dell’Ammiraglio Campioni, comandate superiore in mare. Tutta la formazione diresse, con rotta 260° verso le acque a sud della Sardegna.
Il mattino del 27, mentre la nostra forza navale incrociava a 9 miglia a sud di Capo Spartivento sardo nell’intento di intercettare una delle due forze navlai inglesi che si sapeva fossero in mare, l’una proveniente da Alessandri, l’altra da Gibilterra, prima che si riunissero, furono lanciati in ricognizione gli aerei del Bolzano e del Fiume. Alle 10,00 l’aereo del Bolzano avvistò il gruppo nemico proveniente da Alessandria e le nostre navi gli diressero contro dirigendo per sud-est. E’ noto che alle 11,30 mentre le nostre navi cercavano di tagliare la rotta al nemico, le due formazioni avversarie si erano riunite e che l’Ammiraglio Campioni, non appena ebbe conoscenza di tale fatto attraverso i messaggi di un ricognitore lanciato dal Gorizia, invertì la rotta giudicando, in base alle istruzioni ricevute, che la situazione non fosse più favorevole per attaccare. Lo scontro si svolse così in ritirata.
I nostri incrociatori, che erano in testa alla formazione si trovarono dopo l’inversione di rotta in coda ed in particolare la 3^ Divisione rimase ultima a 8000 metri dalla 1^ Divisione. Questo arretramento era dovuto ad una errata interpretazione dei segnali da parte del Trento che virò per “contromarcia” mentre le altre navi virarono “ad un tempo” per cui la manovra di inversione di rotto risultò confusa; il Trieste, nave ammiragli, finì al centro della formazione e non in testa come avrebbe dovuto.
Occorre rendersi conto, a questo proposito, che le manovre in mare non sono istantanee; nei minuti che occorrono perché si prepari e si inizi una accostata, una nave lanciata a 28-30 nodi, può percorrere un paio di miglia e la stessa accostata, svolgendosi in un arco di ampio raggio, fa perdere alla nave, rispetto alle altre, ulteriore cammino.
Arrivavano intanto dai cacciatorpediniere, che erano ancora più arretrati verso il nemico, le segnalazioni di avvistamento di navi avversarie a dritta verso sud rispetto alle nostre.
Dal Vittorio Veneto fu segnalato di aumentare la velocità per riunirsi alle corazzate e la velocità degli incrociatori fu portata a 28 nodi meno che per il fiume che, per noie all’apparato motore, andò scadendo rispetto alle altre unità riducendo quindi la sua distanza dal nemico, tanto che alle 12,20 fu il primo a iniziare il fuoco. Subito dopo anche le altre unità iniziarono a sparare in rapida successione ad una distanza di 22.000 metri per la 1^ Divisione e 21.500 per la 3^.
Dal grafico si vede come alle 12,21 i nostri incrociatori, in linea di fila, stessero tagliando il “T” alle navi inglesi che avanzavano in linea di fronte. Proseguendo nella stessa rotta ci saremmo mantenuti in una posizione favorevolissima avendo la possibilità di sparare con tutte le artiglierie contro l’avversario costretto a far fuoco solo dai settori prodieri. Gli incrociatori avversari erano, da ovest ad est, i seguenti: Sheffield, Southampton, Newcastle; Manchester, armati con cannoni da 152 e Berwich armato con cannoni da 203.
Per gli ordini ricevuti dall’Ammiraglio Campioni subito dopo l’inizio del fuoco, i nostri incrociatori accostarono invece verso nord-est. Ciò li sottrasse dal tiro delle lente corazzate inglesi – 6 salve della Renown contro la 3^ Divisione e due della Ramillies, sparate alla massima elevazione - ma nello stesso tempo limitò, se non escluse, la possibilità di tirare con le torri prodiere, dimezzando il numero dei cannoni impiegati. La 3^ Divisione intanto non aveva raggiunto la massima velocità. Dice l’Ammiraglio Jachino nel suo libro “Operazione Mezzo Giugno”: “Ordinai in conseguenza” (dell’ordine dell’Ammiraglio Campioni di non impegnarsi) “di aumentare ancora la velocità fino a 30 nodi - era praticamente la massima velocità in formazione - e segnalai alla 3^ Divisone di allontanarsi al più presto dal nemico. Effettivamente questa Divisione, che era rimasta un po’ indietro ed aveva ritardato il primo aumento di velocità, trovò inizialmente qualche difficoltà ad allontanarsi dal nemico che aveva aperto il fuoco con le sue navi. Si vedevano cadere, in direzione di quegli incrociatori, salve da 152 mm e qualche colpo di grosso calibro - erano i cannoni da 381 del Renown e del Ramillies - e ciò mi avrebbe preoccupato se non avessi saputo che le unità tipo “Trieste” avevano una grande esuberanza di velocità rispetto alle navi inglesi e che quindi potevano facilmente aumentare la loro distanza dal nemico non appena gli apparati motore avessero raggiunto la massima andatura. Si vedevano infatti colonne di fumo sprigionarsi dai fumaioli di quelle unità per effetto del rapido aumento di pressione delle caldaie e ben presto le distanze di tiro aumentarono tanto che le navi maggiori inglesi dovettero cessare il fuoco. La 3^ Divisione accostò ancora di 30° a sinistra (per 330°) allo scopo di sottrarsi più rapidamente al tiro dei grossi calibri nemici e questo fece si che essa si distaccò ancora di più dalla 1^ Divisione che stava invece navigando per 50° cercando di riunirsi al Vittorio Veneto”. (E questo discorso risulta chiaro consultando il grafico).
Durante il combattimento, che durò fino alle 13,15 sempre a distanza intorno ai 22.000 metri, gli inglesi ebbero il vantaggio del sole alle spalle ma furono disturbati dal fumo delle nostre unità che il vento portava verso di loro ed anche da una cortina di nebbia stesa dall squadriglia “Alfieri” poco dopo le 13,00. Gli inglesi dissero che il nostro tiro fu preciso all’inizio per poi diminuire rapidamente di accuratezza. La precisione iniziale dette i suoi frutti perché il Berwich fu raggiunto da due granate da 203, la prima alle 12,22 che inutilizzo una torre e la seconda alle 12,35 che colpì il quadrato ufficiali senza causare danni gravi trattandosi di sovrastrutture. Il tiro inglese ottenne il risultato di colpire tre volte il cacciatorpediniere Lanciere (ma due colpi non esplosero). Sotto la protezione della 3^ Divisione tornata indietro, quando il combattimento era ormai finito, a proteggere l’operazione, il Lanciere fu preso a rimorchio dall’Ascari e portato in salvo. Durante questa fase la Divisione fu attaccata senza esito da bombardieri in picchiata.
Alle 13,15 come si è detto, il combattimento cessò perché i nostri incrociatori e quelli avversari, si erano avvicinati alle nostre corazzate che non stavano andando a velocità elevata. Sette salve della Vittorio Veneto, sparate con la torre di poppa, convinsero gli inglesi ad accostare ed allontanarsi. Il combattimento era finito, Nel corso di esso la 1^ Divisione era stata la più impegnata; il Pola, sparò 18 salve, il Gorizia 12 ed il Fiume, che sostenne il peso maggiore, 210; le navi della 3^ Divisione spararono invece 96 salve il Trieste, 92 il Trento e solo 27 il Bolzano che essendo di poppa al Trento fu ostacolato dal fumo sviluppato da questo incrociatore che gli coprì quasi sempre la vista del nemico.
Il mattino dopo il gruppo “Trieste” ed il gruppo “Pola” navigando su rotte indipendenti, si riunirono verso l’isola di Ponza ed entrarono a Napoli alle 14,00. La 3^ Divisione con la 9^ squadriglia cacciatorpediniere, proseguì per Messina lo stesso giorno alle ore 20,35.
15 DICEMBRE 1940
Trento e Trieste lasciarono Messina il pomeriggio del giorno 15 dicembre per trasferirsi a Cagliari. Questo movimento rientrò in uno più vasto di decentramento a nord delle navi giudicate troppo esposte ad attacchi aerei nemici nelle basi dell’Italia meridionale.
22 DICEMBRE 1940
Trento e Trieste rientrano a Messina
essendo stata rinforzata la difesa passiva della base con impianti nebbiogeni.
10-11 GENNAIO 1941
In concomitanza con l’operazione inglese “Excess” e nell’intento di agire contro la portaerei Illustrious, gravemente danneggiata dai bombardieri a tuffo del X Cat Tedesco, Supermarina dette ordine alle forze navali dislocate a La Spezia ed alla 3^ Divisione da Messina di uscire in mare. L’azione fu abbandonata per l’impossibilità di raggiungere tempestivamente la zona dove si trovava l’Illustrious in navigazione verso Malta. La 3^ Divisione rientrò a Messina alle 14,40 del giorno 11.
8-10 FEBBRAIO 1941 - BOMBARDAMENTO INGLESE DI GENOVA (OPERAZIONE “GOG”)
Per quanto riguarda i movimenti della 3^ Divisione diremo che i tre incrociatori ricevettero alle 14,15 del giorno 7 l’ordine di accendere le caldaie per essere pronti a lasciare Messina alle 17,00: una consistente forza nemica era stata segnalata alle Baleari. In serata la Divisione ricevette l’ordine di partire il mattino successivo e le navi lasciarono la base alle ore 07,00 del giorno 8 scortate dai cacciatorpediniere Corazziere e Carabiniere e, più tardi, anche dal Camicia Nera proveniente da Napoli. La formazione si riunì con la Squadra Navale il mattino del 9 ad ovest della Sardegna a 40 miglia da Capo Testa.
E’ noto che il tentativo di intercettare le navi avversarie, dopo il bombardamento di Genova, fallì per la totale insufficienza della nostra ricognizione e le nostre navi, che pure si trovavano in posizione favorevole per tagliare la rotta al nemico, mancarono di poco l’incontro. Gli unici aerei imbarcati disponibili quel giorno, essendosi guastata la catapulta della Vittorio Veneto, furono quelli del Bolzano, del Trento e del Trieste che furono lanciati uno dopo l’altro ma non avvistarono nulla (l’aereo del Trieste passò prima a 40 poi a 20 miglia dagli inglesi ma la visibilità, quel giorno, era cattiva). E’ noto pure che una serie di errati apprezzamenti portò le nostre navi verso un convoglio francese che per caso era in navigazione nella zona ed aveva poco prima incrociato la formazione inglese. Fu proprio il Trieste, che con la 3^ Divisione navigava 15 miglia di prora alle corazzate, ad avvistare all’orizzonte, alle 15,38, fra la soddisfazione generale, le alberature del supposto nemico.
“E’ curioso notare” dice l’Ammiraglio Jachino “che mentre quel giorno unità navali ed aerei nazionali cercavano invano di rintracciare la Forza “H”, un innocente convoglio francese che si trovava in quei paraggi per puro caso, abbia involontariamente incontrato tanto la forza navale inglese che quella italiana sia stato non solo avvistato, ma anche bombardato dai nostri aerei” (un nostra formazione gli lanciò 6 bombe senza colpire)”.
Le navi della 3^ Divisione rientrarono a Messina il 10 febbraio.
12-13 MARZO 1941
La 3^ Divisione scortata dai cacciatorpediniere Carabiniere, Corazziere ed Aviere e dalla Torpediniera Dezza fornì la scorta strategica ad un convoglio formato da transatlantici Conte Rosso, Esperia, Victoria e Marco Polo diretto in Libia.
La scorta strategica consisteva nel far navigare, ad alcune miglia dal convoglio e dalla sua scorta diretta, una formazione pesante (incrociatori leggeri o pesanti ed anche una corazzata in taluni casi) per far fronte soprattutto ad eventuali attacchi di naviglio leggero con base a Malta. Tale sistema si dimostrò efficace e tenne lontano spesso tale pericolo. La distanza dal convoglio serviva per non far perdere alle navi della scorta strategica la loro manovrabilità per permettere loro di poter sviluppare, in caso di necessità, tutto il volume di fuoco disponibile. A nulla serviva tale scorta contro gli attacchi aerei, anzi esponeva le navi da guerra al pericolo di aerosiluramento, né era efficace, come avremo modo di notare in seguito, contro attacchi navali notturni, dato che le nostre navi, di notte, erano pressochè cieche per mancanza di adeguati apparati di scoperta (radar) dovendosi basare solo sull’occhio vigile delle vedette che aveva, è evidente, una portata assai limitata. Inoltre le nostre navi maggiori non erano addestrate al combattimento notturno, non previsto dalla nostra tattica per mancanza di apparati adeguati e di carica a vampa ridotta. La vampa normale accecava, con sua vivida luce nella oscurità della notte, il personale addetto al puntamento rendendogli difficilissima la prosecuzione del tiro. Per questi motivi spesso la scorta a distanza, sulla rotta più breve, quella a ponente di Malta, era fornita solo nelle ore diurne finchè il convoglio non entrava nel raggio di protezione delle forze aeree della Tripolitania.
Vi erano varie teorie sulla posizione migliore che doveva assumere la scorta, se dietro, di fianco o davanti al convoglio ma ciò, avendo il solo scopo di garantire l’immediatezza della reazione, non aveva senso di notte contro un nemico che in possesso di radar poteva determinare la posizione delle nostre navi ed attaccare dal lato più favorevole. Queste considerazioni serviranno a meglio comprendere alcuni avvenimenti che esamineremo nel corso della nostra cronaca.
27-29 MARZO 1941 - SCONTRO DI GAUDO
Nella scorreria offensiva in forze eseguita dalla nostra Marina nelle acque di Creta nel marzo 1942 e che portò allo scontro di Gaudo e, successivamente alla tragica sorpresa di Capo Matapan, la 3^ Divisione ebbe la sua parte rilevante.
Trieste (nave ammiraglia), Trento e Bolzano, scortati da 3 cacciatorpediniere della 12^ Squadriglia (Corazziere) lasciarono Messina alle 05,30 del 27 marzo, ponendosi in testa, a 7 miglia di distanza, alla formazione composta dalla corazzata Vittorio Veneto e dalla sua scorta, proveniente da La Spezia. La riunione con le forze provenienti da Taranto (1^ Divisione) e da Brindisi (8^ Divisione) avvenne nelle primissime oree del 28 marzo, 55 miglia a sud-est di Capo Spartivento calabro. Poco dopo mezzogiorno, il gruppo “Trieste” che, come detto, navigava a distanza dal resto della formazione, fu avvistato e segnalato da un “Sunderland” da ricognizione. Tale avvistamento parziale ed il fatto che gli inglesi non fossero a conoscenza, anche se lo sospettavano, della presenza di una nostra corazzata, mise l’Ammiraglio Jachino, comandante della Squadra, nelle condizioni di effettuare il giorno 28 quell’azione di Gaudo che, con un po’ di fortuna, ci avrebbe assicurato quel successo che andavamo cercando da molto tempo, con dispendio di forze ma con deludenti risultati.
Seguendo solo l’azione della 3^ Divisione ricordiamo lo scontro di Gaudo del quale i tre incrociatori furono i protagonisti nella prima fase ed i mancati comprimari nella seconda.
L’avvistamento dei quattro incrociatori e dei quattro cacciatorpediniere dell’Ammiraglio Pridham-Wippel fu dato dal ricognitore della Vittorio Veneto alle 06,35. L’Ammiraglio Jachino che già aveva deciso, in mancanza di avvistamenti, di interrompere la marcia verso levante, ordinò subito alla 3^ Divisione di aumentare la velocità a 30 nodi per riconoscere il nemico e poi di invertire la rotta per cercare di portare le navi avversarie sotto i cannoni della Vittorio Veneto. Alle 08,12, alla distanza di 32.000 metri la Divisione “Trieste” iniziò il fuoco con i suoi 203 sulle navi inglesi che si ritiravano (tentavano a loro volta di portare le nostre navi sotto il fuoco delle loro corazzate). Solo dopo un quarto d’ora gli inglesi poterono aprire a loro volta il fuoco on i 152 di cui erano armati ma la distanza era ancora forte e le loro salve risultarono assai corte. I nostri “Trento” avevano di fronte l’Orion (n.a.) l’Aiax (una delle navi che avevano combattuto con la Graf Von Spee al Rio della Plata), il Perth (della Marina australiana) ed il Gloucester, tutti armati con cannoni da 152 nel numero complessivo di 36 pezzi. La differenza dei calibri però non ebbe gran peso perché il cannoneggiamento che si svolse per poco meno di un’ora non sortì alcun risultato da ambo le parti. Crediamo utile a questo proposito riportare alcuni giudizi dell’Ammiraglio Jachino sulle apparecchiature di puntamento dei nostri incrociatori che spiegano in parte - oltre le grandi distanze alle quali il combattimento si svolse - i risultati assolutamente negativi.
“Tutta l’apparecchiatura della artiglieria, e del tiro su queste navi, e specialmente sul Trento e sul Trieste, è rimasto alquanto arretrata rispetto alle unità più recenti. Fin dall’inizio della guerra era stato progettato un radicale rimodernamento di tale apparecchiatura e specialmente delle stazioni di telemetria, di queste navi, ma poco si era ancora potuto fare, data la necessità di provvedere alle unità recentemente entrate in servizio. Anche in questo campo infatti, l’attrezzatura industriale della Nazione, a cui necessariamente si appoggiava la Marina per i rifornimenti di macchinari e strumenti specializzati, era scarsamente sviluppata ed i programmi di nuove apparecchiature, di vitale importanza durante una guerra, subivano sempre grandi ritardi nella loro attuazione”. E più oltre: “Il fatto è che le condizioni atmosferiche della giornata erano ben poco favorevoli per il telemetraggio a grande distanza, soprattutto con i vecchi telemetri a coincidenza con cui erano dotati il Trento ed il Trieste. Questi strumenti infatti non riuscirono a dare alcuna misurazione attendibile prima dell’inizio del tiro e anche dopo aperto il fuoco, le loro osservazioni furono sempre incerte, saltuarie, imprecise” (la prima battuta era stata di 22.000 metri, circa 10.000 metri in meno del vero). “Il Bolzano si trovava sotto questo aspetto in condizioni migliori perché di costruzione più recente. Tuttavia i suoi telemetri riuscirono a dare qualche battuta solo dopo l’apertura del fuoco, misurando 28.000 metri, cioè una distanza molto superiore a quella apprezzata dai direttori di tiro”. La prima fase della battaglia di Gaudo cessò così alle 08,55 quanto la 3^ Divisione, vista l’inutilità di proseguire l’azione, ed obbedendo al desiderio dell’Ammiraglio Jachino di tornare verso acque meno infide, invertì la rotta, subito imitata dagli incrociatori inglesi che si misero a seguire i nostri.
La seconda parte della battaglia ebbe come protagonista principale la Vittorio Veneto. Come è noto l’Ammiraglio Jachino pensò di sfruttare il fatto ormai certo che Pridham-Wippel non sapeva della presenza in mare di una nostra corazzata, per invertire la rotta e portarsi alle spalle (in realtà fu sul fianco) del nemico per prenderlo fra il fuoco della corazzate e quello della 3^ Divisione che al momento opportuno avrebbe dovuto invertire la rotta. La promettente manovra non dette il risultato sperato perché gli inglesi, appena inquadrati dalle salve della Vittorio Veneto, invertirono immediatamente la rotta, coprendosi rapidamente con una cortina di fumo che rese impossibile un tiro efficace. La 3^ Divisione, d’altro canto, che alle 10,56 aveva ricevuto l’ordine di invertire la rotta per chiudere la morsa sugli inglesi, non giunse in tempo per partecipare all’azione, facendo mancare alla manovra il suo apporto che certamente avrebbe messo in sera difficoltà gli incrociatori di Prindham-Wippel.
Alle 11,30 le nostre navi ripresero la via del ritorno. La 3^ Divisione fu attaccata a mezzogiorno da tre aerosiluranti che lanciarono contro il Bolzano: l’attacco fu sventato con il tiro e con la manovra. Fu l’inizio dei vari attacchi inglesi sferrati in quel pomeriggio per cercare di danneggiare qualcuna delle nostre unità per fermarla e farla cadere sotto il tiro della Squadra inglese che sopraggiungeva. La Divisione subì ancora attacchi di bombardieri in quota fra le 15,20 e le 16,58. Alcune bombe caddero molto vicino al Trento ed al Bolzano. Il maggior numero di attacchi venne però portato contro la Vittorio Veneto che, come è noto, fu colpita da un siluro. L’Ammiraglio Jachino per proteggere con una cortina di fuoco antiaereo la nave che era il più ghiotto bersaglio del nemico, fece disporre le altre unità ai due lati di essa. In un nuovo attacco di aerosiluranti condotto non appena il sole scomparve all’orizzonte, il Pola fu silurato ed immobilizzato. Da questo fatto scaturì la fatale decisione di inviare in suo soccorso la 1^ Divisione che cadde, nella notte, nel tragico agguato di Capo Matapan. La Forza navale italiana arrivò a Taranto alle 15,30 del 29 marzo.
24 APRILE 1941
Il Trento si trasferì da Taranto a Messina da dove, il 6 maggio, raggiunse La Spezia per lavori che terminarono in agosto.
Gli incrociatori Trieste e Bolzano con i cacciatorpediniere Ascari e Carabiniere e la 7^ Divisione incrociatori (“Eugenio di Savoia”) fornirono la scorta a distanza di un convoglio partito da Napoli e composta in prevalenza da navi tedesche (Marburg, Kibfels, Reichenfels, Birmania, Rialto). In seguito allo stato del mare ed a movimenti di forze nemiche, il convoglio fu dirottato, prima su Palermo, poi su Messina ed Augusta e partì definitivamente per l’Africa settentrionale fra il 29 ed il 30 aprile.
24-25 MAGGIO 1941
La 3^ divisione composta per il momento dei soli Trieste e Bolzano, e che era da poco passata al comando dell’Ammiraglio Bruno Brivonesi, partì da Messina alle ore 16,00 con i cacciatorpediniere Carabiniere, Lanciare ed Ascari, per scortare a distanza il convoglio Conte Rosso, Esperia, Marco Polo e Victoria diretto in Africa settentrionale. In quell’occasione il Conte Rosso fu silurato ed affondato dal sommergibile inglese Upholder alle 20,45 del 24 maggio a 10 miglia a levante del Capo Murro di Porco. La 3^ Divisione non potè far altro che mandare il Corazziere ed il Lanciere a dare una vana caccia al sommergibile e quindi provvedere al recupero dei naufraghi. Su un totale di 2.729 uomini imbarcati sul transatlantico ne furono salvati 1.432. La Divisione rientrò a Messina alle ore 20,00 del giorno 25.
27 MAGGIO 1941
Trieste e Bolzano ripresero il mare per scortare lo stesso convoglio che rientrava in Italia ed un altro che era in viaggio da Tripoli.
8-9 GIUGNO 1941
Trieste e Bolzano con i cacciatorpediniere Corazziere, Lanciere ed Ascari scortano il convoglio “Esperia”. Rientrano a Messina alle ore 06,00 del 9.
25-26 GIUGNO 1941
La sera del 25 giugno il Trieste con il Gorizia, ormai unico superstite dei tipi “Zara”, accompagnati dalla 12^ squadriglia cacciatorpediniere, presero sotto la loro protezione il convoglio veloce composto dai transatlantici Oceania, Neptunia, Esperia e Marco Polo con la loro scorta diretta di siluranti. Il convoglio fu sottoposto all’inizio della notte ad intensi attacchi aerei per cui Supermarina, temendo che tali attacchi potessero ripetersi nella notte, ordinò che l’intera formazione ripiegasse su Taranto.
27-29 GIUGNO 1941
Lo stesso convoglio, con la 3^ Divisione, ripartì da Taranto il 27 giugno giungendo a Tripoli alle 10,30 del 29.
30 GIUGNO-1 LUGLIO 1941
La stessa formazione, dopo aver subito
pesanti attacchi aerei su Tripoli, ripartì per l’Italia alle ore 18,00 del 30
giugno.
16-20 LUGLIO 1941
Trieste e Bolzano con i cacciatorpediniere Ascari, Carabiniere, e Corazziere, scortano a distanza il convoglio veloce composto dai transatlantici Oceania, Neptunia e Marco Polo, partito con la scorta diretta, da Taranto per Tripoli. D a Tripoli il convoglio ripartì la sera del 19 con la stessa scorta.
5 AGOSTO 1941
Il Trento rientra dai lavori.
23-26 AGOSTO 1941 - CONTRASTO ALL’OPERAZIONE “MINCEMEAT” -
SILURAMENTO DEL BOLZANO
L’operazione inglese “Mincemeat” contemplava un’uscita della Forza “H” da Gibilterra per appoggiare un’azione di bombardamento aereo degli impianti industriali e delle foreste di sughero della Sardegna, la possa di uno sbarramento di mine presso Livorno ed infine un’azione dimostrativa lungo le coste spagnole per influire sull’atteggiamento politico di quella nazione. Per contrastare qualsiasi eventuale azione del nemico la nostra Squadra fu dislocata al centro del Tirreno. La 3^ Divisione lasciò Messina alle 09,50 del giorno 23 agosto con quattro cacciatorpediniere di scorta, per raggiungere le altri navi della Sardegna; durante la navigazione fu raggiunta da altri due cacciatorpediniere provenienti da Palermo.
La puntata nemica era su uno schema insolito e pertanto i movimenti delle nostre navi non interferirono per nulla sulla sua azione, del resto assai poco fruttuosa.
Mentre la 3^ Divisione rientrava alla base e si trovava poco a nord dello Stretto di Messina, il Bolzano, che era l’ultimo della formazione, fu colpito da un siluro lanciato dal sommergibile Triumph. Data la vicinanza del proto, l’incrociatore, con l’aiuto di due rimorchiatori, lo raggiunse senza difficoltà. I danni richiesero circa tre mesi di lavoro per essere riparati. Il Triumph, nonostante il contrattacco delle nostre siluranti e dei velivoli antisommergibili che credettero di averlo affondato, non riportò alcun danno. In settembre, mentre il Bolzano era a Messina ai lavori, venne colpito, durante un bombardamento aereo, da una bomba che provocò gravi danni e perdite fra il personale.
26-30 SETTEMBRE 1941 - CONTRASTO ALL’OPERAZIONE “HALBERB”
Anche l’“Halberb”, una complessa operazione inglese per far passare navi e convogli attraverso il Mediterraneo, vide un tentativo di contrasto della Squadra Italiana, risultato sterile per le restrittive direttive imposte al Comando in mare circa il campo di azione della Squadra stessa.
Alla nostra operazione partecipò la 3^
Divisione con la scorta dei cacciatorpediniere Corazziere, Carabiniere, Ascari e
Lanciere. La Divisione lasciò Messina alle 22 del 26 settembre e alle 12,00
del giorno successivo si riunì con la Squadra a 50 miglia a levante di Capo
Carbonara. Dopo quattro giorni di navigazione nel Tirreno la nostra forza
navale rientrava alle basi. La 3^ Divisione si recò a La Maddalena da dove
successivamente raggiunse Messina.
8-9 NOVEMBRE 1941 - SCORTA AL CONVOGLIO “DUISBURG” -
Il 21 ottobre giunsero a Malta, provenienti da Scapa Flow, gli incrociatori leggeri Aurora e Penelope al comando del C.V. Agnew imbarcato sul primo dei due. Ad essi vennero aggregati, distaccandoli dalla Mediterranean Fleet, i cacciatorpediniere Lively e Lance. Venne costituito così un gruppo di navi veloci, denominato Forza “K”, che aveva il compito esclusivo di agire contro il nostro traffico diretto in Libia.
Questo fatto causò una prudenziale temporanea sospensione del nostro traffico, ma poi, dovendosi necessariamente rifornire l’esercito in Africa settentrionale, fu deciso di riprendere il sistema dei convogli scortati a distanza. Ciò imponeva un rilevante consumo di nafta di cui c’era già penuria; un’operazione del genere con l’impiego di due incrociatori tipo “Trento” e di quattro cacciatorpediniere comportava il consumo di circa 4.000 tonnellate di nafta.
Il Trento ed il Trieste furono così adibiti alla scorta indiretta del convoglio denominato “Beta” composto dai piroscafi tedeschi Duisburg e San Marco, dalla cisterna Minatitland, dal piroscafo Sagitta e dalla motonave Maria, partito da Napoli il mattino del giorno 7 con la scorta di due gruppi di cacciatorpediniere (Maestrale, Fulmine, Euro, Granatiere, Fuciliere, Bersagliere, Alpino). Durante il passaggio del convoglio nello stretto di Messina si unì ad esso un secondo convoglio composto dai piroscafi Rina, Corrado e Conte di Misurata con tre cacciatorpediniere (Grecale, Libeccio e Oriani).
Trento e Trieste, con il Granatiere, il Fuciliere, il Bersagliere e l’Alpino, che avevano sostato a Messina peri rifornirsi, lasciarono la base alle 16,30 del giorno 8, ponendosi di poppa al convoglio.
Riassumendo i dati suesposti, si trattava di un notevole gruppo di navi comprendente 7 mercantili carichi di 15.400 tonn. di combustibile, 1.600 tonn. Di munizioni, 389 automezzi e più di 14.000 tonn. di materiali vari, con 6 cacciatorpediniere di scorta diretta e 2 incrociatori e 4 cacciatorpediniere di scorta indiretta, oltre 8 aerei da caccia in volo sulla formazione nelle ore diurne. La rotta prescelta era quella a levante di Malta fuori del raggio di azione degli aerosiluranti calcolato in 190 miglia. Poco prima del tramonto il convoglio venne avvistato da un velivolo “Maryland” di base a Malta; gli inglesi apprezzarono immediatamente la situazione, non si lasciarono ingannare dalla rotta seguita allora dal convoglio (esattamente ad est) e, alle 17,30 la Forza “K” lasciò l’isola su una rotta che l’avrebbe portata nella notte, ad incrociare le nostre navi. Sopraggiunta la sera l’Ammiraglio Brivonesi, per poter far mantenere ai suoi incrociatori una velocità tale da consentire una sufficiente manovrabilità, mentre i mercantili non potevano fare più di 9 nodi, stabilì di pendolare con le sue navi lungo l convoglio, dal lato di ponente che era quello dal quale, con più probabilità, poteva venire il nemico, mantenendo due cacciatorpediniere di prora agli incrociatori e due di poppa. Il cielo era nuvoloso e la visibilità, che era scarsa quando la luna era coperta dalle nubi, era invece ottima quando questa era libera.
Alle 00,30 del 9, il gruppo “Trento” che aveva defilato controbordo ai mercantili accostava “ad un tempo” per riprendere un nuovo pendolamento quando avvertiva i segnali “NO 30, NO 30, NO 30” trasmessi senza nominativo da una sorgente in rapido avvicinamento. Allarmato, l’Ammiraglio stava compilando per tutte le navi un messaggio di avvertimento quando improvvise balenarono di prora agli incrociatori le vampe delle artiglierie nemiche. Erano le 01,00. La Forza “K”, avvistate le forze italiane (l’Aurora era dotato di radar), si era portata un poco a poppavia del convoglio, in posizione tattica vantaggiosa, con il favore della luna e, messi con calma in punteria i cannoni, alla distanza di circa 5.000 metri, aveva iniziato il fuoco contro i cacciatorpediniere di scorta. La sorpresa era stata totale; nei primi minuti di fuoco il Fulmine fu affondato, il Grecale immobilizzato, colpito l’Euro (che fece un tentativo di attacco ma desistette nel dubbio di aver di fronte navi nazionali), il Maestrale, capo scorta, colpito all’albero e quindi messo nella impossibilità di impartire ordini via radio. Mentre i cacciatorpediniere superstiti cercavano di avvolgere il convoglio in cortine di nebbia, la Forza “K” gli girava attorno tirando al bersaglio sui mercantili che cercavano scampo verso levante e tentavo di infilarsi nelle cortine di nebbia. Qualcuno dei piroscafi affondò subito, qualche altro, carico di munizioni esplose, qualche altro rimase a galla per qualche tempo, Nel corso di poche ore andarono tutti perduti.
Contemporaneamente all’inizio del fuoco da parte della Forza “K”, il Bersagliere, che era di prora sulla dritta del Trieste e quindi più vicino alle navi inglesi, le avvistò ed iniziò a sparare su di loro. Subito dopo i nostri incrociatori, tentando faticosamente di aumentare la velocità che era di 12 nodi in quel momento, si spiegarono sulla dritta e dopo tre minuti aprirono il fuoco alla distanza di 8.000 metri. Qualche colpo nemico giunse intorno al Trieste e, mentre le distanze aumentavano rapidamente per la maggiore velocità degli inglesi, il nostro tiro, benché intenso, non raggiungeva alcun risultato. Dopo 12 minuti dall’inizio del fuoco la velocità dei nostri incrociatori aveva raggiunto i 18 nodi, ma intanto il nemico aveva aggirato il convoglio e, occultandosi dietro le stesse cortine di nebbia stese dai nostri cacciatorpediniere, ne completava la distruzione.
In totale i nostri incrociatori spararono 207 colpi da 203 e 82 da 100 in 22 minuti (fra le 01,03 e le 01,25) a distanza fra 8.000 e 17.000 metri e nessuno colpì il nemico, e questo dovuto purtroppo alla nostra impreparazione, per mancanza di apparecchiature specifiche al tiro notturno.
Pensando correttamente che il nemico, aggirato il convoglio, avrebbe ripreso la rotta verso Malta, l’Ammiraglio Brivonesi fece accostare per nord nell’intento di tagliargli la rotta, ma gli inglesi non furono avvistati. Per colmo di sciagura il sommergibile inglese Upholder, che si trovava nella zona e che fu visto durante la notte navigare in superficie fra le navi incendiate per trovare qualche preda, il mattino successivo silurò ed affondò il cacciatorpediniere Libeccio mentre era intento alla raccolta dei naufraghi e mancò di poco, con tre siluri, il Trento.
Successivamente a questo tragico episodio, l’Ammiraglio Brivonesi lasciò il comando della 3^ Divisione all’Ammiraglio Angelo Parona, fu sottoposto ad inchiesta e deferito al Tribunale Militare per “perdita colposa di nave militare”; l’istruttoria durò diversi mesi e si concluse con l’assoluzione dell’Ammiraglio “perché il fatto non costituisce reato”.
Sulla sorte del convoglio “Duisburg” e sul comportamento dei nostri Comandi, sia della Divisione che dei cacciatorpediniere di scorta, si è molto speculato nelle polemiche sorte nel dopoguerra. E’ noto che è facile giudicare degli errori altri ed ora, a tavolino, si può argomentare che la 3^ Divisione, anziché tentare lo spiegamento sulla dritta, per mettere in azione tutte le sue artiglierie, il che fece perdere qualche minuto, avrebbe dovuto piegare sulla sinistra cercando di interporsi fra il nemico ed il convoglio (cosa problematica perché le distanze delle navi inglesi dal convoglio erano già minime) che la velocità doveva essere aumentata più rapidamente, (ma i “Trento”, ormai navi anziane avevano gli apparati motore che non rispondevano più con sollecitudine), che i cacciatorpediniere dovevano avere libertà di manovra e lanciarsi all’attacco (l’azione dei cacciatorpediniere, che avrebbero dovuto avere sufficiente addestramento per il combattimento notturno, mancò totalmente).
Per queste azioni, volte non già a salvare il convoglio, ma a punire gli aggressori, sarebbe stato necessario un perfetto addestramento delle navi scorta ad agire in coordinamento fra loro, e direttive particolari per il caso specifico (la possibilità di un attacco della Forza “K” era prevista) da concordare prima della partenza, ma, come abbiamo visto, la 3^ Divisione aveva assunto la scorta del convoglio quando questo era già in navigazione. Purtroppo l’azione nemica, benché prevista, restò una sorpresa e le azioni di ognuno, benché corrette o giustificabili con la rapidità dell’evento, la mancanza di mezzi adeguati, le condizioni ambientali, non furono sufficienti ad una valida reazione. Il compito dell’attaccante è sempre estremamente più facile di quello del difensore che deve reagire alla sorpresa e scegliere la risposta giusta.
21-22 NOVEMBRE 1941 - SILURAMENTO DEL TRIESTE -
Il mancato arrivo dei rifornimenti trasportati dal convoglio “Duisburg” metteva in grave difficoltà le truppe dell’Asse in Africa settentrionale, proprio mentre l’VIII Armata britannica, il 19 novembre, iniziava la sua offensiva. Occorreva quindi far giungere in Africa, al più presto, i rifornimenti che erano già caracati sui piroscafi nei porti di Napoli, Taranto e Brindisi. Fu deciso così di dare il via a un intenso movimento di navi il cui gruppo principale era costituito da un convoglio di 6 unità suddiviso in due gruppi con lieve differenza di velocità che doveva essere scortato da due Divisioni di incrociatori l8^ (“duca degli Abruzzi”) e la 3^ composta ora dagli incrociatori Gorizia, sul quale era imbarcato l’Ammiraglio Parona, Trieste e Trento. Si pensava che di fronte ad un notevole movimento di navi operanti in più convogli, la ricognizione avversaria sarebbe stata disorientata e che la forte scorta navale che questa volta doveva navigare assieme al convoglio, avrebbe sconsigliato agli incrociatori nemici dall’attaccare.
Erano previste inoltre, ricognizioni aeree, bombardamento di Malta e scorta aerea diurna.
La 3^ Divisione, con i cacciatorpediniere della 11^ e 12^ Squadriglia, lasciò Messina la sera del 21 poco dopo il passaggio del convoglio nello Stretto. Il convoglio era stato avvistato dalla ricognizione avversaria quando era ancora a nord della Sicilia e fu seguito, anche di notte, per tutta la sua navigazione. Di notte i ricognitori nemici volavano con i fari accesi per provocare la reazione degli armamenti di qualche pezzo contraereo e per poter così meglio seguire la marcia del convoglio. Nella notte si scatenò poi un violento e persistente attacco aereo che fece sbandare le navi mercantili; alle 23,10 un siluro lanciato dal sommergibile Utmost colpì il Trieste poco a poppavia della plancia con conseguente esplosione della caldaia 3. Lo scoppio della caldaia aumentò l’effetto rovinoso dell’esplosione, ma la fuoriuscita del vapore spense l’incendio della nafta che aveva cominciato a svilupparsi. Con i locali di prora e del centro allagati, macchine ferme, paratie con minacciose vie d’acqua, forza elettrica mancante, la situazione del Trieste si presentava molto difficile e solo la efficienza dei servizi di sicurezza a bordo impedì che si verificasse il peggio. Vale ricordare per tutti l’episodio dell’elettricista Godeas che rimase tutta la notte nella camera d’ordini che si andava allagando, mentre tutti i locali intorno erano pieni d’acqua, mantenendo i contatti telefonici tra il ponte di comando e gli altri locali interni; solo il mattino dopo, giunta l’unità a Messina, fu possibile aprire un varco per raggiungerlo e liberarlo.
Dopo un’ora e mezzo di sforzi il Trieste poté rimettere in moto le caldaie di poppa ed iniziare a lento moto, scortato dai cacciatorpediniere Corazziere e Carabiniere, la navigazione per Messina dove giunse alle 07,30 del giorno 22. Durante l’attacco aereo della notte era stato silurato anche il Duca degli Abruzzi che, dopo alcune ore di sforzi, poté rimettere lentamente in moto e giungere a Messina alle 11,40. Le navi sbandate del convoglio raggiunsero senza danni il porto di Taranto su rotte diverse, scortate ove possibile dal Gorizia e dal Trento e dai cacciatorpediniere della Squadriglia “Aviere”. Riuscirono a raggiungere Tripoli poche unità di altri convogli.
18-18 DICEMBRE 1941 - OPERAZIONE “M42” E PRIMA BATTAGLIA DELLA SIRTE-
Il novembre 1941 segnò il punto più tragico della situazione dei nostri rifornimenti in Libia. Solo il 30% dei materiali partiti giunse a destinazione. La presenza della Forza “K”, assieme agli aerosiluranti di Malta rese per noi invalicabile senza perdite il Mediterraneo centrale. Per sbloccare la situazione anche le navi da battaglia furono adibite alla scorta; il 14 dicembre la Vittorio Veneto fu silurata.
Il 16 dicembre un grosso gruppo di navi da guerra del quale facevano parte il Gorizia ed il Trento, partì da Taranto per scortare quattro piroscafi diretti in Africa, Il fatto dette origine ad uno scontro con un gruppo di incrociatori leggeri e cacciatorpediniere inglesi che proteggevano la navigazione della cisterna Breconshire da Alessandria a Malta. Lo scontro è conosciuto come “Prima battaglia della Sirte” . La fase tattica dello scontro, svoltosi fra le 17,53 e le 18,04 del 17 dicembre per appena 11 minuti, nell’incipiente oscurità, fu semplicissima. Le navi italiane con due perfette accostate, una sulla sinistra ed una sulla dritta, si avvicinarono al nemico e giunti a distanza, iniziarono il tiro.
Trento e Gorizia, in particolare aprirono il fuoco alle 17,55 alla distanza di 22.000 metri. Non vi furono colpi a bordo né dall’una né dall’altra parte; una sola vittima fu dalla parte inglese quando alcune schegge di granata da 203 di uno dei nostri due incrociatori investì il cacciatorpediniere Kipling. Il combattimento cessò per il sopraggiungere della notte mentre i cacciatorpediniere dell’una e dell’altra parte abbozzavano un attacco.
3-6 GENNAIO 1942
Il soddisfacente esito dell’operazione “M42” che raggiunse l’obiettivo di far giungere in Libia quattro piroscafi carichi di prezioso materiale, indusse il nostro Comando Supremo a ritentare l’operazione denominata ora “M43”, con un altro convoglio di 6 navi; ad essa prese parte un’imponente scorta di corazzate, incrociatori e cacciatorpediniere. La 3^ Divisione col Gorizia, sempre nave ammiraglia, ed il Trento, prese il mare da Taranto con il gruppo di appoggio alle 18,50 del 3 gennaio e tornò alla stessa base alle 04,30 del 7. Non vi fu alcuna reazione da parte del nemico. Il 19 dicembre, la Forza “K” era incappata in un nostro campo minato subendo gravi perdite e danni.
14-15 FEBBRAIO 1942
Per contrastare un tentativo inglese, poi fallito, di far passare due convogli, uno da Alessandra a Malta ed uno in senso inverso, una nostra forza navale con la corazzata Duilio e la 7^ Divisione uscì in mare da Taranto il 14 febbraio mentre la 3^ Divisione con Gorizia e Trento e l’11^ Squadriglia cacciatorpediniere usciva da Messina alle 23,15 dello stesso giorno.
La Duilio rientrò subito in porto dato che Supermarina aveva accertato non esservi navi da battaglia avversarie in mare, le due Divisioni incrociatori, invece, si riunirono il mattino del 15 a levante di Malta. La forza navale si spinse a sud e poi tornò verso nord senza intercettare unità nemiche ed il mattino del 16 le due Divisioni si separarono per tornare alle rispettive basi dopo essersi scambiate le Squadriglie di cacciatorpediniere che le accompagnavano. Alle 13,45, attraversando una zona frequentata da sommergibili, a sud dello stretto di Messina, il cacciatorpediniere Carabiniere fu silurato con l’asportazione della prora. Gorizia e Trento entrarono a Messina alle 15 del 16 febbraio.
21-24 FEBBRAIO 1942
Un’ultima operazione di scorta a convogli, la “K7”, fu effettuata dal Trento alla fine di febbraio. Due convogli partiti l’uno da Messina e l’altro da Corfù fruirono entrambi della protezione a distanza della corazzata Duilio e della 3^ Divisione composta questa volta dagli incrociatori Gorizia, Trento e Bande Nere con la consueta scorta di cacciatorpediniere (per la 3^ Divisione: Alpino, Da Noli e Oriani). Le Squadriglie di cacciatorpediniere di scorta, per le perdite subite avevano ormai una composizione eterogenea. La formazione si giovò di una rara ma efficacissima collaborazione aerea (aerei tedeschi di base in Sicilia) che fece fallire tutti i tentativi di contrasto aereo avversario.
22-24 MARZO 1942 - LA SECONDA BATTAGLIA DELLA SIRTE -
La navigazione di un convoglio inglese verso Malta, scortato, oltre la protezione diretta da tre (poi quattro) incrociatori leggeri e quattro cacciatorpediniere al comando dell’Ammiraglio Vian, dette origine, come è noto, per il tentato contrasto della Flotta italiana, alla seconda battaglia della Sirte.
La Divisione uscì da Messina alle 01,00 del 22 marzo composta dal Gorizia (n.a.) dal Trento e dal Bande Nere con i cacciatorpediniere Alpino, Fuciliere, Bersagliere e Lanciere. Da Taranto uscì la corazzata Littorio con quattro cacciatorpediniere. Il mare era mosso con forte vento fin dal mattino tanto che il Gorizia incontrò notevoli difficoltà a lasciare l’ormeggio. Alle 12,40 un aereo lanciato dal Trento avvistò le navi inglesi a circa 60 miglia dalla 3^ Divisione che ancora non si era riunita al gruppo “Littorio”. Il mare intanto, sotto l’impetuoso vento di scirocco stava montando e raggiungendo forza 5. Alle 14,23 il Gorizia avvistò per primo la formazione avversaria che emergeva dalla foschia a circa 20.000 metri di distanza. Alle 14,35 la Divisione aprì il fuoco contro dei bersagli già difficili da individuare per lo stato del mare e che per di più stendevano cortine di nebbia per coprire le navi del convoglio che si allontanavano verso sud. Anche oggi con i documenti a disposizione, è difficile ricostruire l’azione perché le navi cambiavano continuamente rotta, gli inglesi per venire a distanza di tiro e poi ritirarsi nelle cortine di nebbia con l’unico intento di tenere le nostre navi lontane dal convoglio ed i nostri incrociatori invece, per cercare, secondo le disposizioni avute, di attrarre gli avversari verso nord, nella direzione dalla quale stava giungendo la Littorio. Alle 15,20 mentre la 3^ Divisione avvistava la Littorio, il combattimento cessò perché gli inglesi si ritirarono rapidamente verso sud.
Alle 15,30 i due gruppi si riunirono e la Divisione si dispose in linea di fronte sulla sinistra della Littorio. Tutti continuarono a correre verso sud. Alle 16,43 le navi nemiche riapparvero ed il fuoco riprese per nove minuti contro gli avversari che sbucavano dalla nebbia. La distanza era intorno ai 14.000 metri perché gli inglesi, anziché ritirarsi, dirigevano verso di noi, stendendo sempre nuove cortine di nebbia. In questa fase un proiettile da 152 del Bande Nere colpì l’incrociatore inglese Cleopatra, dove era imbarcato l’Ammiraglio Vian, che subito si riportò dietro la nebbia. Dopo una breve sospensione, il tiro riprese alle 17,00 per un altro quarto d’ora a distanza poco superiore a 10.000 metri, un tiro sommamente impreciso da entrambe le parti, per la nebbia, lo stato del mare e, da parte nostra, per gli spruzzi che il vento sollevava ad offuscare i nostri strumenti di punteria. Mentre le navi si cannoneggiavano furiosamente, non mancavano nella mischia i nostri aerei siluranti e bombardieri che portarono quel giorno, senza esito, numerosissimi attacchi alle navi inglesi ed al convoglio. Altre azioni di fuoco si susseguirono a brevi intervalli, sempre a distanza ravvicinata, fra le 17,40 e le 17,52, intorno alle 18,00 e poi ancora alle 18,30 fino alle 18,40. Le distanze, mentre i cacciatorpediniere inglesi venivano all’attacco, scesero fino a 6/7.000 metri. Alle 18,58, ormai buio, il fuoco cessò definitivamente da entrambe le parti. Fu l’azione di fuoco più accanitamente combattuta e brillantemente condotta da tutte e due le parti di tutta la guerra sul Mediterraneo. Nonostante il gran numero di colpi sparati (181 da 381, 581 da 203, 552 da 152, 84 da 120, 87 da 100 e 21 da 90) solo il 3 per mille andò a segno danneggiando un incrociatore e tre cacciatorpediniere nemici, più alcune schegge che arrivarono a bordo di un altro incrociatore. Lo stato del mare era ormai tale, forza 8/9, da far temere per la sicurezza stessa delle navi causando ampi rollii anche sui grossi incrociatori e sbandamenti paurosi, fino a 27°, sul Bande Nere che era particolarmente stabile. Come è noto la forza del mare, il mattino del 23 causò la perdita dei nostri cacciatorpediniere Lanciere e Scirocco.
Il Trento rientrò a Messina alle 10,00 del giorno 24.
14-15 GIUGNO 1942 - OPERAZIONE “MEZZO GIUGNO” -
- AFFONDAMENTO DEL TRENTO -
Anche questa operazione nacque dal nostro contrasto ad un nuovo tentativo inglese di rifornire Malta, questa volta con due convogli, uno da Gibilterra (operazione “Harpon”) e l’altro da Alessandria (operazione “Vigorous”). A contrastare l’operazione “Harpon”, ritenuta di minor importanza, furono inviati aerei, sommergibili e forze leggere di superficie (ne scaturì la battaglia di Pantelleria), mentre la reazione all’operazione “Vigorous”, fu affidata alla Squadra. Non vi fu l’incontro con le forze nemiche perché gli inglesi, per evitare un combattimento con forze troppo superiori, rinunciarono al tentativo di far proseguire il convoglio ed invertirono la rotta pur non evitando, con questo, sensibili perdite loro causate da attacchi di aerei, sommergibili e motosiluranti.
Della Squadra italiana, composta dalle due corazzate Littorio e Vittorio Veneto e dagli incrociatori Garibaldi e Duca d’Aosta, faceva parte anche la 3^ Divisione con Gorizia e Trento; la scorta era formata da 10 cacciatorpediniere. Tali forze lasciarono Taranto alle 13,00 del giorno 14, subito avvistate dalla ricognizione avversaria che le seguì durante la notte, e subirono un primo attacco aereo fra le 02,40 e le 04,00 del giorno 15. Alle prime luci dell’alba gli inglesi tornarono all’attacco: erano passate da poco le 05,00 quando furono avvistati tre grossi aerei siluranti Bristol-Beaufort bassi sul mare che si diressero verso il gruppo degli incrociatori che navigava a 20 nodi in linea di fila con quattro cacciatorpediniere di scorta laterale. Dietro questo gruppo di aerosiluranti ne seguivano altri due pure composti da tre aerei ciascuno. La prima ondata attaccò il Garibaldi ed il Duca d’Aosta, la seconda il Gorizia e la terza ancora il Gorizia ed il Trento che era l’ultimo della formazione. L’attacco contro il Trento fu condotto con grande audacia ed il lancio fu eseguito a non più di 200 metri dalla nave, una distanza che non lasciava scampo. Nonostante la pronta manovra, mentre le altre navi riuscivano a destreggiarsi nel mare infestato di siluri (ogni aereo Bristol-Beaufort portava due siluri), il Trento fu colpito poco a poppavia del centro in corrispondenza del locale caldaie di prora. Il locale fu subito allagata, cedette la paratia di separazione con il contiguo locale macchine al centro e si sviluppò un incendio. Per mancanza di vapore le macchine di prora si fermarono subito, quelle di poppa qualche tempo dopo. Per sottrarre la nave ad un nuovo attacco, il cacciatorpediniere Camicia nera cominciò a girargli intorno avvolgendola in una cortina di nebbia, mentre il Comando della Squadra mandava in suo soccorso per prestarle assistenza e scortarla verso la base i cacciatorpediniere Pigafetta e Saetta “Non era possibile distaccare altre unità in suo aiuto” dice l’Ammiraglio Jachino che comandava la Squadra sulla Littorio, “dato che la nostra Forza navale aveva un compito offensivo da svolgere nelle prossime ore. Rimasi tuttavia molto dispiaciuto di non poter far nulla per salvare quella nave che, con animo rattristato, vedevo scadere via via sempre più lontana da noi, mentre la colonna di fumo nero continuava a salire sempre molto densa nel cielo, denunziando chiaramente un forte incendio di nafta nei locali caldaie. Tuttavia lo scafo del Trento appariva galleggiare quasi normalmente seppure con una immersione a prora leggermente superiore alla solita: ciò lasciava pensare che i danni provocati dalla esplosione del siluro non fossero irreparabili e che, salvo imprevisti, si sarebbe potuto rimettere in moto almeno una macchina, oppure prendere in rimorchio la nave per portarla in acque meno pericolose”.
Ma intanto la situazione a bordo del Trento non migliorava, né l’incendio poteva essere domato, anzi si estendeva, In suo soccorso Supermarina aveva fatto uscire da Crotone un rimorchiatore d’alto mare ed aveva ordinato alle torpediniere Pegaso a Patrasso e Partenope a Navarrino di accendere e uscire al più presto.
Frattanto mentre il personale di macchina cercava di fermare l’incendio e di separare le due sezioni dell’apparato motore per poter riaccendere le caldaie di poppa, il personale di coperta trasportava a poppa, coprendole sotto tele imbevute di acqua le munizioni da 100 che erano state approntate nelle riservette vicino ai cannoni per il tiro contraereo. C’era naturalmente, dato il forte calore, pericolo di esplosione anche nei depositi dei grossi calibri. Poco dopo le 08,00, visto che l’opera di riaccensione delle caldaie andava per le lunghe, il comandate della nave, C.V. Esposito, ordinò al Pigafetta di stendere un cavo di rimorchio. Alle 09,00 il Pigafetta aveva preso il rimorchio e si accingeva a mettere in moto, mentre l’incendio nei locali inferiori era quasi domato. Pochi minuti dopo veniva avvistata, sulla superficie calma del mare, la scia netta di un siluro che si dirigeva contro il Trento. L’arma scoppiò in corrispondenza della torre 2 e subito dopo la tremenda esplosione delle cariche squarciò la nave, sollevò la coperta a prora abbattendo il pentapode con la plancia comando e la stazione di direzione del tiro e falciò con le schegge ed i rottami il numeroso personale in coperta impegnato nelle manovre di rimorchio. Mentre il Pigafetta abbandonava i cavi, il Trento sbandava sulla sinistra, immergeva lentamente la prora e si infilava in mare verticalmente con la poppa in alto mentre il vapore residue e l’aria contenuta nei locali interni si scaricava con un sibilo acutissimo. I naufraghi in mare, aggrappati alle zattere cadute da bordo ed ai rottami, in mezzo alla nafta che subito si spargeva intorno, guardavano la loro nave colare a picco e chi ne aveva la forza, in quel momento, dette sfogo al suo rabbioso dolore gridando “Viva il Trento”, “Viva il Re”.
Degli uomini imbarcati sul Trento oltre il Comandante, scomparvero la metà degli ufficiali, dei sottufficiali e dei marinai; furono salvate 602 persone di cui 22 ufficiali, 100 sottufficiali e 480 sottocapi e comuni. Il personale della nave comprendeva 51 ufficiali e 1100 uomini di equipaggio.
Il siluro che affondò il Trento (due secondo gli inglesi) fu lanciato dal sommergibile P.35, comandante Maydon, che assieme al P.34, ed al P.31 si trovava nella zona ed aveva già in precedenza, nella notte, tentato il lancio contro le corazzate alle 05,00 e, successivamente, aveva lanciato quattro siluri sempre contro le corazzate alle 05,46 quando queste avevano girato attorno al Trento immobilizzato. I sommergibili inglesi, quando sorse il sole videro chiaramente l’alta colonna di fumo che levava dal Trento e diressero verso la nave per darle il colpo di grazia: il P.35 arrivò per primo.
1-15 AGOSTO 1942 - OPERAZIONE “MEZZO AGOSTO” -
- SILURAMENTO DEL BOLZANO -
L’operazione “Mezzo Agosto”, contrasto aeronavale all’operazione inglese “Pedastal”, consistente nel transito da Gibilterra a Malta di un grosso convoglio, fu affidato tutto agli aerei, ai sommergibili operanti a gruppi ed alle motosiluranti e mas del Canale di Sicilia. Tali forze conquistarono un notevole successo infliggendo agli inglesi serie perdite (una portaerei, la Eagle, due incrociatori, Cairo e Manchester, quattro cacciatorpediniere e quattro piroscafi affondati oltre ai danni inflitti alle altre unità).
Il mancato intervento della nostra Squadra fu dovuto alla penuria estrema di nafta che mancava ormai anche per il naviglio silurante che svolgeva l’indispensabile servizio di scorta ai convogli. Gli unici nostri fornitori di nafta erano la Marina germanica che aveva già i suoi guai in proposito e non voleva assottigliare le proprie scorte, e la Romania con i suoi modesti giacimenti petroliferi sfruttati a quasi esclusivo vantaggio della Germania per soddisfare le immense necessità della guerra in Russia. In un rapporto di Supermarina al Comando Supremo, in data 8 giugno 1942, si legge fra l’altro: “I tre incrociatori che hanno ultimato o stanno per ultimare le grandi riparazioni in Alto Tirreno (Bolzano, Trieste ed Abruzzi) non potranno espletare il programma che sarebbe necessario dopo i lavori, per deficienza di combustibile”.
Ciononostante, in occasione dell’operazione “Mezzo Agosto”, fu effettuato un tentativo di far intervenire alcune grosse navi per rinnovare il successo della Battaglia di Pantelleria.
Il piano prevedeva di far uscire da Messina la 3^ Divisione, composta ora da Bolzano, Trieste e Gorizia, (sempre sotto gli ordini dell’Ammiraglio Parona imbarcato su quest’ultima unità) e di riunirla il pomeriggio dello stesso giorno nel Basso Tirreno a nord di Palermo con la 7^ Divisione uscita da Cagliari. Da quel punto, se la situazione fosse stata favorevole, le navi avrebbero potuto facilmente raggiungere il punto più stretto del Canale di Sicilia fra l’Isola e Capo Bon. L’8^ Divisione, dislocata a Navarrino, doveva contrastare eventuali movimenti inglesi da levante.
Lo stesso giorno 12 il programma venne modificato perché un sommergibile tedesco aveva segnalato quattro incrociatori inglesi e 10 cacciatorpediniere nel Mediterraneo occidentale con rotta su Malta. Si trattava di una finta inglese eseguita in realtà da due incrociatori, 5 cacciatorpediniere ed alcuni piroscafi che dovevano simulare di essere diretti a Malta. Per reagire a tale azione, Supermarina rinunciò (tenuto conto che non poteva essere assicurata una conveniente scorta aerea) alla progettata azione del Canale di Sicilia, il cui sbarramento fu affidato alle sole siluranti, e ordinò così alla 7^ Divisione di rientrare a Cagliari ed alla 3^ Divisione di raggiungere l’8^. Bolzano, Trieste e Gorizia, ai quali si era aggregato l’Attendolo, diressero, nella notte fra il 13 e il 14, per lo Stretto di Messina. Tutte le navi erano state segnalate fin dalla mezzanotte da un ricognitore inglese; gli inglesi, come stratagemma, per far credere di disporre di forze aeree superiori a quelle che effettivamente avevano, dettero durante la notte ordini in chiaro al ricognitore di attaccare, emanando, nello stesso tempo, analoghi ordini ad immaginarie formazioni di “Liberator”.
Gli inglesi, predisponendo l’operazione, avevano disseminato in punti strategici i loro sommergibili. All’imboccatura dello Stretto di Messina era in agguato l’Umbroken che alle 08,00 del 13 vide, da una favorevolissima posizione, sfilare davanti l suo periscopio i quattro incrociatori italiani. Lanciò quattro siluri ed ebbe la fortuna di colpire con uno il Bolzano al centro dello scafo e con un altro l’Attendolo portandogli via di netto la prora fino alla torre 2. All’Umbroken fu data caccia per otto ore - il suo comandate T.V. Mars, contò 105 esplosioni - ma non riportò danni. Intanto l’Attendolo, che non aveva avuto danni all’apparato motore, poté raggiungere, assistito anche dal naviglio uscito da Messina, questa base, mentre il Bolzano le cui condizioni di stabilità erano più gravi, dato che per un grosso incendio a bordo si erano dovuti allagare i depositi munizioni, fu condotto ad incagliare su una spiaggia sabbiosa della vicina isola di Panarea. Il Bolzano fu successivamente disincagliato ed il 15 settembre fu rimorchiato a Napoli per le prime riparazioni e quindi, in dicembre, trasferito a La Spezia dove rimase ai lavori fino all’armistizio. Vedremo più avanti le vicende della sua fine.
9 DICEMBRE 1942 - TRASFERIMENTO DELLA 3^ DIVISIONE A LA MADDALENA -
Alla fine di ottobre l’VIII Armata inglese iniziava ad El Alamein, l’offensiva che doveva portarla in Tunisia. I primi di novembre gli anglo-americani iniziavano gli sbarchi nel Nord Africa. Contemporaneamente iniziava l’offensiva aerea contro i nostri porti. La 3^ Divisione che con gli incrociatori Gorizia e Trieste, insieme al Duca d’Aosta, al Garibaldi ed al Duca degli Abruzzi, era rimasta a Messina, fu costretta a sloggiare.
Il gruppo “Gorizia” si trasferì a La Maddalena la notte del 9 dicembre. La dislocazione di quelle navi, ora che tutto il centro della guerra in Mediterraneo si era spostato verso il nord e l’ovest, tendeva a far pesare, nelle considerazioni degli avversari, il possibile intervento di nostre navi nelle acque ad occidente della Sardegna.
10 APRILE 1943 - LA FINE DEL TRIESTE -
In realtà, nelle condizioni nelle quali la Marina italiana si trovava ridotta, poco valevano agli spostamenti delle nostre residue forze e le minacce che queste potevano ancora apportare. L’azione era ormai passata completamente in mano angloamericana e le nostre grandi navi, immobilizzate dalla mancanza di rifornimenti di nafta e di una sufficiente copertura aerea in un cielo del quale l’avversario era ormai padrone, non ebbero più occasione di intervenire. Nel pomeriggio del 10 aprile 1943, esattamente alle 13,45, 32 bombardieri quadrimotori, bombardarono con precisione le navi alla fonda nella base di La Maddalena che era, fra l’altro, provvista di una difesa contraerea ormai inadeguata. Le bombe colpirono il Trieste ed il Gorizia. Mentre quest’ultimo, benché gravemente danneggiato, poté lasciare La Maddalena per La Spezia dove finì i suoi giorni, il Trieste, colpito da numerose bombe che lo devastarono affondò alle 16,13, rovesciandosi sul lato dritto. Finiva così la 3^ Divisione Navale.
Nel dopoguerra lo scafo del Trieste fu recuperato, rimorchiato a La Spezia e demolito.
All’atto dell’armistizio il Bolzano, assieme al Gorizia, unici 10.000 rimasti a galla, si trovava a La Spezia alla fonda nei recinti parasiluri presso la diga foranea. Dopo le riparazioni sommarie ricevute, i due incrociatori attendevano di essere immessi in bacino per i lavori di raddobbo dello scafo, mai iniziati per mancanza di materiale.
Per il Bolzano in particolare era stata anche studiata, alla fine del 1942, la possibilità di trasformarlo in nave lancia-aerei, ma tale interessante trasformazione non avrebbe mai avuto la possibilità di essere realizzata per la mancanza della mano d’opera e dei materiali necessari e, se mai intrapresa, non avrebbe potuto essere portata a termine perché ormai il momento della fine era prossimo.
L’8 settembre era comandante sia del
Bolzano che del Gorizia a La Spezia il C.F. Dessì che mantenne gli equipaggi a
bordo finché la sera del 9 settembre, vista la situazione e consultandosi con il
Comando del Dipartimento, che ancora funzionava, fece abbandonare le navi
inviando gli uomini alla caserma S. Bartolomeo, dove furono lasciati liberi.
Le navi non furono sabotate prevedendo che, dato il loro stato di totale
inefficienza, non sarebbero stato di nessuna utilità ai tedeschi. Il 10
settembre il Bolzano, ormai abbandonato, subì l’onta del saccheggio da parte di
militari tedeschi e di civili italiani. Dopo di ciò lo scafo rimase dove si
trovava con una piccola guardia tedesca a bordo.
21-22 GIUGNO 1944 - LA FINE DEL BOLZANO -
Presso i Comandi Alleati sorse ad un certo punto il dubbio che i tedeschi avrebbero potuto utilizzare il Bolzano ed il Gorizia per affondarli presso l’imbaccatura del porto nell’intento di bloccarlo. Il Comando Alleato interessò così la nostra Marina alla progettazione di una azione di mezzi di assalto per affondare le due navi ed alcuni sommergibili pure disarmati a La Spezia.
L’azione fu compiuta nella notte fra il 21 ed il 22 giugno 1944 da un gruppo di incursori italiani ed inglesi portati nei pressi della base dal cacciatorpediniere Grecale, che aveva a bordo due motoscafi siluranti MTSM da usare per l’avvicinamento sotto costa degli “uomini gamma” italiani destinati ad operare contro i sommergibili, e dalla motosilurante 74 che portava due mezzi d’assalto inglesi “Chariots”, simili ai nostri “maiali”. Furono questi ultimi a portare l’attacco agli incrociatori, ma solo uno riuscì a superare gli sbarramenti ed a minare il Bolzano. Dopo l’esplosione il Bolzano si spezzò in chiglia e affondò poggiando sui fondali del recinto.