GLI INCROCIATORI TRA LE DUE GUERRE
Le conferenze di Washington e Londra
La corsa agli armamenti navali tra le Marine degli Stati Uniti e del Giappone, in gara tra loro nonostante la fine della guerra mondiale, oltre a gravare sempre più sui bilancio sconvolgeva gli equilibri esistenti. Infatti le Marine europee vincitrici, ma esauste, oltre ad annullare le costruzioni già programmate ed a demolire sugli scali quelle già iniziate, si posero in una fase di attesa per meditare sulle esperienze acquisite in quattro anni di guerra e di conseguenza seguire con le nuove costruzioni gli indirizzi che ne sarebbero scaturiti.
Prima vittima di queste riflessioni fu l’incrociatore corazzato; allo Jutland le unità inglesi non diedero buona prova: sotto il preciso fuoco tedesco tre di essi squarciati saltarono in aria o spezzati in due tronconi rimasero emergenti, immobili, monumenti funebri di se stessi. Le navi da battaglia stesse venivano guardate con diffidenza; tenere in servizio le più efficienti, magari pensare a rimodernarle senza ricorrere a nuove costruzioni era il pensiero comune ai vari Ammiragliati, in attesa che l’idea di una loro decadenza come capital-ship, già insinuatasi, venisse meglio dibattuta e verificata dal tempo e dai confronti.
Venne fuori vincitore l’incrociatore come nave capace di far sentire autorevolmente la voce del cannone in agili e veloci azioni offensive e difensive e nello stesso tempo utilizzabile in compiti esplorativi o di scorta. Ma sulle caratteristiche di questo incrociatore, sui dislocamenti e calibri massimi, vi era profonda confusione o meglio anche se una singola Marina aveva delle chiare idee sulle proprie necessità, queste non coincidevano ovviamente con quelle di Marine alleate o alleate-possibili-antagoniste e per non avviare n on desiderate e dissanguanti gare di costruzioni era necessario, discutere arrivare a delle limitazioni di massima.
Fu così che il 12 novembre 1921 si riunì a Washington, su iniziativa statunitense e britannica una Conferenza Navale con la partecipazione delle cinque principali potenze marittime.
Un accordo fu trovato pur tra i più vari interessi e compromessi per le navi da battaglia, furono fissati il tonnellaggio complessivo per nazione inteso come limite massimo, il dislocamento ed il calibro massimi, 35.000 tonnellate e 406 mm.. Inoltre per dieci ani non si sarebbe dato il via a nuove costruzioni.
Non vi fu invece accordo per limitare il numero degli incrociatori per l’intransigente opposizione dell’Inghilterra; gli interessi coloniali, le necessità di proteggere le linee di comunicazione, il ricordo ancora vivo dello sforzo compiuto su tutti i mari per dare la caccia a pochi corsari tedeschi imponevano all’Ammiragliato di non accettare limitazioni.
A considerazioni analoghe approdarono Stati Uniti e Giappone; anche se senza problemi coloniali le rispettive Marine dovevano pur sempre mostrarsi su più oceani. Contraria fu anche la Francia e per interessi coloniali e per la speranza, rimasta poi tale, di acquisire quella supremazia mediterranea sull’Italia che le era stata negata con la sancita parità di tonnellaggio delle navi da battaglia.
E l’Italia? Indubbiamente la posizione di quarta potenza mondiale a cui era assurta le bastava; i propri interessi anche coloniali si esaurivano nel Mediterraneo per cui stava alla finestra a guardare.
Si arrivò così alla fine di dicembre quando il Segretario di Stato americano riuscì a comporre faticosamente i disaccordi; e se non si era riusciti a limitare il numero degli incrociatori, con gli articoli XI e XII del documento finale della Conferenza si arrivò a fissare il dislocamento massimo per ogni unità nelle 10.000 tonnellate ed il calibro principale nel 203 mm.
Il tema degli incrociatori fu ripreso nelle Conferenze di Ginevra del 1927 e di Londra del 1930. Ma l’incrociatore da 10.000 tonnellate uscito fuori a Washington non fu più messo in discussione; si contiuò a parlare solo della limitazione del tonnellaggio globale. E’ opportuno ancora insistere sul fatto che tra i partecipanti alla Conferenza del 1921 l’incrociatore ormai definito come “Washington” non fu considerato come il frutto di un compromesso ma la concretizzazione del tipo di nave ritenuto più idoneo, in un’epoca in cui la nave da battaglia si dava per superata dai tempi, facile preda dei sommergibili ed aerei. Per gli Ammiragliati il dislocamento di 10.000 tonnellate era il massimo bersaglio pagante da offrire alle nascenti insidie; ma con quel dislocamento era possibile anche offendere efficacemente poichè il 203 mm. Si riteneva idoneo a prendere il posto dei grossi calibri. Ma l’equivoco non finì qui; a questo tipo di n ave ideale, abbastanza frettolosamente tracciato, si negò anche un’efficace protezione; messe da parte le corazze si svilupparono apparati motori capaci di sviluppare velocità di 35-38 nodi.
Tutte le Marine caddero in questo errore, ovviamente definito tale con il senno di poi, ed in una decina di anni un grande numero di tipi “Washington” entrò in servizio: i “County” inglesi, i “Duquesne” francesi, i “Pensacola” statunitensi, gli “Aoba” giapponesi, i “Trento” italiani. Non può quindi sorprendere come le caratteristiche di queste unità non fossero molto dissimili tra loro; la protezione non estesa a tutto lo scafo era ridotta al minimo e tutti sviluppavano velocità dell’ordine di 35 nodi.
Alla prova dei fatti, durante la guerra, le deficienze di questi incrociatori non pregiudicarono un più che onorevole servizio, anzi quasi tutti anche se ripetutamente danneggiati riuscirono a portare a termine numerose missioni.
A questi incrociatori, che possiamo definire “Washington” della prima generazione, seguirono anni di ripensamento, di esame delle proprie esperienze e di quelle delle altre Marine. Furono rilevati i difetti di origine e si cercò di ovviare ad essi; si capì come perdere tre-cinque nodi di velocità non fosse un aspetto negativo; e con il peso risparmiato sugli apparati motori si poteva prevedere una corazzatura intorno ai 150 mm.; ed a parità di armamento. E’ vero però che furono elusi i limiti della Conferenza. Se con gli incrociatori di questa seconda generazione gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna mantennero il dislocamento standard entro le 10.000 tonnellate l’Italia ed il Giappone, superando abbondantemente tale limite realizzarono unità più equilibrate con gli “Zara” e più potenti con gli “Atago”. La Germania solo nel 1935, in seguito al primo accordo navale con la Gran Bretagna iniziò la costruzione di incrociatori pesanti con l’”Admiral Hipper”. Lo fece al di fuori di ogni limitazione e sfruttando le altrui esperienze.
In definitiva si può concludere che solo con un dislocamento di 12.000-14.000 tonnellate era possibile armonizzare in maniera ottimale velocità, protezione ed armamento. Tesi questa valida sino alla vigilia della seconda guerra mondiale. In seguito per gli incrociatori progettati al di fuori di ogni limitazione sarebbe azzardata la definizione di “Washington” della terza generazione.
Alla luce degli eventi bellici l’incrociatore nato dai Trattai non può che uscirne bene, smentendo le critiche che accompagnarono la sua evoluzione. Scontri furibondi in Pacifico tra statunitensi e giapponesi, guerra di corsa su tutti i mari da parte dei tedeschi, caccia a questi ultimi e protezioni del traffico da parte inglese, servizio di squadra e ancora protezione del traffico da parte italiana: questi gli avvenimenti che lo ebbero per protagonista. Tale continuo ed eterogeneo impegno bellico portò la media delle perdite su tutti i mari al 50% circa delle unità in servizio, con la drammatica punta del 100%, la totalità, per gli incrociatori pesanti italiani e giapponesi.
LO SVILUPPO DELLA FLOTTA IN ITALIA NEGLI ANNI TRENTA
Intorno agli anni trenta la ricostruzione della flotta era già delineata e nelle sue varie tranche portata avanti con decisione e sacrifici finanziari. E andava inquadrata e nella situazione storica di quel periodo e nella politica estera che la Nazione perseguiva.
Nei confronti della Marina il programma del governo si rivelava ambizioso. E’ fatta propria la tesi che in tempo di pace le Marine determinino le gerarchie delle nazioni, ed in particolare che la potenza della flotta debba essere il sostegno della politica estera. E questa in quel periodo era tesa a consolidare le posizioni ottenute con la vittoria nella Grande Guerra; in tal modo ondeggiava tra un atteggiamento di diffidenza verso Inghilterra e Francia e nello stesso tempo di ricerca di un compromesso. Solo nel 1935 a Stresa le tre potenze converranno di non alterare la situazione europea di quel periodo unilateralmente e nello stesso tempo condanneranno il riarmo della Germania attuato in contrasto a quanto sancito dalla Società delle Nazioni.
Nel 1923, con il programma di potenziamento e di ristrutturazione delle Forze Armate, furono posti a capo dei Ministeri della Guerra e della Marina il Generale Diaz e l’Ammiraglio Thaon di Revel; in tal maniera gli ambienti militari venivano coinvolti nelle due personalità più prestigiose.
Con la legge dell’8 maggio 1925 con cui venne istituito lo Stato Maggiore Generale si pose praticamente la Marina alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito poiché questi era anche il Capo di S.M. Generale; ciò provocò le dimissioni di Thaon di Revel per la sancita dipendenza dall’Esercito dello sviluppo e dell’impiego della Marina, nel contesto di una visione di guerra prettamente terrestre. Accettate le dimissioni il Ministero della Marina passò ad interim nelle mani del Capo del Governo che aveva accentrato nella sua Persona i dicasteri della Guerra, degli Interni, degli Esteri e della giovane Aeronautica. In pratica l’effettiva guida degli affari militari dipendeva dai Sottosegretari di Stato ed in particolare per la Marina dell’Ammiraglio Sirianni.
Nel quadro del previsto potenziamento gli stanziamenti per la Marina subirono continui aumenti passando dai 770,4 milioni di lire del 1923-’24 (120 dei quali destinati alle nuove costruzioni contro i 48 dell’anno precedente) agli oltre 1.000 milioni del 1926-’27 dei quali 210,5 per nuove costruzioni. Nel 1926-’27 vennero inoltre destinati 100 milioni per il riammodernamento, previsto in quattro anni, delle basi. Con tali stanziamenti i programmi navali prevedevano: due incrociatori pesanti da 10.000 tonnellate, i “Trento”; 4 incrociatori leggeri, il primo gruppo della classe “Condottieri”; 12 esploratori classe “Tarigo”; e poi 12 caccia, 19 sommergibili, 7 mas, 7 posamine, 7 navi ausiliarie.
Per la realizzazione di un nuovo programma di costruzioni, si tenne conto della contingente situazione politica in Mediterraneo aggiornando gli stanziamenti. Nel 1927-’28 si arrivò a 1.218,9 milioni di lire di cui 367 destinati a nuove costruzioni, e gradualmente si raggiunsero nel 1931-’32 rispettivamente 1.400 e 700 milioni. In questi anni vennero costruiti 5 incrociatori pesanti, il “Bolzano” ed i 4 “Zara”; 8 incrociatori leggeri, altri 4 gruppi dei “Condottieri” e 12 caccia, 6 torpediniere, 33 sommergibili, 8 mas, 31 navi ausiliarie. Si decise inoltre il rimodernamento delle due navi da battaglia classe “Cesare”. Nel 1934 venne avviata la costruzione dei due “Littorio” i cui progetti ispireranno il rimodernamento dei due “Doria” nel 1936. Contemporaneamente il programma navale del 1935-’36 previde la costruzione di 4 caccia, 10 torpediniere, 4 avvisi-scorta, 24 sommergibili, 14 navi ausiliarie.
Lo sviluppo della flotta interno agli anni trenta fu quindi teso a realizzare, in attesa del rinnovamento della linea delle navi da battaglia, un nucleo di sette incrociatori pesanti nel contesto di un contemporaneo ampio e bilanciato incremento di unità minori.
GENERALITA’
La fine del 1928 vide l’entrata in squadra del primo incrociatore da 10.000 tonnellate, il Trieste. Ricordandone i pregi ed i difetti si deve ancora sottolineare che, a somiglianza dei suoi contemporanei, ad una spinta velocità e ad un buon armamento accoppiava una scarsa protezione verticale ed orizzontale dello scafo e delle sovrastrutture.
Lo Stato Maggiore della Marina recepì tale lacuna decidendo di puntare su un tipo di nave più idoneo al compito di costituire la spina dorsale della Squadra, derivato dai precedenti, ma in cui la solidità costruttiva desse più ampie garanzie. Per esempio quella superiorità qualitativa indice di un indiscusso sopravvento in battagli su unità similari, realizzabile con una più armonica fusione di velocità, protezione, armamento. L’ammiraglio Bernotti propose incrociatori da 1.000 tonnellate: tre di essi avrebbero surclassato sei incrociatori da 10.000. Un dislocamento simile non era consentito dal trattato di Washington e quindi non fu preso in considerazione. Ma forse un orecchio a tale voce nelle specifiche per lo studio di un nuovo tipo di incrociatore si decise di non ritenere il limite di 10.000 tonnellate invalicabile per la ricerca di quella superiorità già accennata.
Punti fermi del progetto erano:
n un armamento di 8 cannoni da 203 mm; (un’eventuale riduzione di pezzi da 8 a 6 comportava costruire un terzo incrociatore ogni due previsti).
n una protezione verticale il più estesa possibile con un massimo di 200 mm., oltre ad un’efficace protezione orizzontale ed una minuta compartimentazione dello scafo.
n una velocità operativa di 32 nodi.
Il Comitato Progetti navi su tali specifiche elaborò un progetto che solo grazie ad alcune rinunce ed accorgimenti costruttivi non si avvicinò a quanto prospettato dal Bernotti. Infatti per contenere il dislocamento standard in 12.000 tonnellate, fermi restando l’armamento e la velocità richiesti, la protezione verticale massima fu diminuita di 50 mm. Ed il peso dello scafo ulteriormente ridotto abbandonando il ponte continuo e prevedendo un castello dalla prora alla base del torrione.
Con il programma navale del 1928 due unità del Naviglio Militare, con Regio Decreto, con i nomi di fiume e Zara ed impostati rispettivamente presso lo Stabilimento Tecnico Triestino di Trieste il 29 aprile del 1929 e presso il Cantiere Odero Terni Orlando di Livorno il 4 luglio dello stesso anno. Con i programmi degli anni successivi, 1929 e 1930 furono iscritti nei quadri del Naviglio Militare, con Regio Decreto, altri due incrociatori con i nomi di Gorizia e Pola entrambi impostati presso il Cantiere Odero Terni Orlando di Livorno il 17 marzo 1930 il primo ed esattamente un anno dopo il secondo. E’ da ricordare che insieme al Gorizia lo stesso programma del 1929 prevedeva la costruzione del Bolzano.
Lo Zara primo ad entrare in servizio diede il nome alla classe; aveva richiesto circa due anni e tre mesi per la costruzione e l’allestimento, quattro mesi meno del Fiume. Gorizia e Pola entrarono in squadra ad un anno ed otto mesi circa dall’impostazione.
Il costo delle unità escluse le artiglierie e gli impianti relativi alla direzione del tiro fu di lire 106.000.000 per lo Zara ed il fiume; di lire 112.700.000 per il Gorizia, di lire 114.700.000 per il Pola.
DESCRIZIONE DELLO SCAFO E DELLE SOVRASTRUTTURE
Le quattro unità avevano scafo praticamente identico e la minore lunghezza rispetto ai “Trento” di circa quattordici metri conferiva loro un aspetto più compatto. Una buona tenuta al mare di prora era assicurata dal castello prolungato sino quasi a metà nave e da una prora molto svasata; alle prove con mare forza 8 al traverso si registrarono sbandamento di 25° con mare forza 6 al giardinetto sbandamenti di 20°. Il bulbo di prora era abbastanza pronunciato, la poppa tondeggiante. Il castello si raccordava con il ponte di coperta mediante due lunghi e pronunciati sgusci con lo scopo di aumentare il campo di tiro dei complessi dao 100/47 immediatamente a poppavia; solo sul Pola tale accorgimento non fu ripetuto essendo risultato irrilevante il vantaggio acquisito. L’altezza degli interponti era costante da prora a poppa e pari a 2,20 m; il cavallino di prora pressoché inesistente.
Come per i “Trento” gli scafi erano costruiti in acciaio ad alta resistenza sostituito da acciaio dolce Martin-Siemens nelle parti soggette ad elevate vibrazioni; la struttura si sviluppava in prevalenza longitudinalmente tra i ponti di castello, coperta, batteria e sul fondo, trasversalmente tra i ponti intermedi, Le paratie principali erano 19 limitate al ponte di batteria al centro, elevate sino a quello di castello a prora e di coperta a poppa; anche la stiva era suddivisa in paratie e copertini. Nei compartimenti stagni estremi e in alcune zone del doppiofondo vi erano i depositi della nafta di servizio e di riserva; limitatamente ai doppi fondi della zona centrale i depositi dell’acqua per le caldaie, di lavanda, degli oli lubrificanti. Durante la vita operativa non si riscontrarono fenomeni di vibrazione, lamentati invece sul “Trento” grazie alla robustezza strutturale. Sul ponte di coperta una lunga tuga costituiva il prolungamento del ponte di castello chiudendosi sul cilindro corazzato della torre sopraelevata di poppa. A metà tra castello e tuga, sviluppato interno ad un quadripode i cui montanti nascevano dal ponte di batteria, si ergeva il torrione; sul Fiume, sullo Zara e sul Gorizia era pressoché simile; sul Pola si prolungava verso poppa roccordandosi sul fumaiolo prodiero. Dai disegni si possono agevolmente rilevare le differenze tra nave e nave come ad esempio la minore apertura longitudinale del quadripode del Fiume ecc. La torre corazzata di comando era immediatamente a poppavia della torre 2, su di essa ruotava la stazione di tiro del 2° D.T. (direttore del tiro); il quadripode si raccordava alla sommità con una struttura tronco-conica rovescia sovrastata dalla coffa delle vedette e dalla stazione del 1° D.T..
L’albero di maestra, a tripode partiva anche dal ponte di batteria; a metà altezza vi era una struttura su due palchi sulle cui ali erano posti gli stereotelemetri delle stazioni di tiro secondarie; a metà dei montanti laterali si aprivano le piazzole per le mitragliere da 13.2.. Sul montante centrale si innalzava un alto alberetto dai cui due pennoni partivano gli aerei radiotelegrafici collegati al torrione e le sagole della sottostante stazione segnali. Nell’aprile 1940 l’alberetto del Gorizia fu abbassato di 10 metri rispetto all’altezza iniziale.
I fumaioli prodieri, do forma ellittica, erano staccati dal torrione tranne che, come già detto, sul Pola; quello del Gorizia era leggermente più distanziato e con base svasata molto più ampia; i fumaioli poppieri anche di forma ellittica presentavano una sezione minore. Tutti si completavano con ampie cappe da fumo dotate di reti di protezione.
***
La corazzatura dello scafo venne disposta intorno al ridotto protetto, racchiudente tutto il centro nave della torre 1 alla 4 del calibro principale comprese, e delimitato da due traverse. A murata, per lato, erano fissate 15 piastre di acciaio cementato lunghe ognuna 6 metri e di 150 mm. Di spessore; erano rastremate a 100 mm. Sotto la linea di galleggiamento e limitate superiormente al ponte di batteria; tra questo ed il ponte di coperta la corazzatura continuavo come 10 piastre lunghe 9 metri ognuna e spesse 30 mm. Le due traverse erano formate da 8 piastre da 120 mm. Sino al ponte di batteria e da 2 piastre da 20 mm. Sino al ponte di coperta.
Orizzontalmente il ridotto veniva completato sul ponte di batteria da piastre da 70 mm. E sul ponte di coperta, per assorbire l’urto iniziale dei proiettili, da piastre di 20 mm.
I tamburi di protezione delle quattro torri da 203 erano formati da piastre di acciaio al cromo-nichel di spessore variabile con l’altezza da 150 a 140 a 120 mm. Dal ponte di batteria si alzava un cilindro corazzato collegato con la torre di comando avente forma circolare con diametro interno di 3,30 m., corazza esterna da 150 mm., fondo da 70 mm. E tetto da 80 mm.; superiormente la torre del 2° D.T., cilindrica, presentava un diametro interno di 3,50 m., pareti con corazze da 120 mm. E soffitto da 95 mm.
Oltre al ridotto protetto le uniche parti dello scafo dotate di leggera corazzatura erano il locale calderine ausiliarie posto sopra il ponte di coperta, assialmente ed in corrispondenza al fumaiolo di prora ed il locale agghiaccio del timone. In entrambi tali locali la corazzatura era sempre scatolare e con spessore di 20 mm.
Le artiglieri del calibro principale erano racchiuse in quattro torri corazzate con spessore frontale di 203 mm., laterale, superiore e posteriore di 150 mm..
La protezione quindi era estesa alle parti vitali della nave, artiglierie, apparato motore, depositi, centrale operativa, organi di governo; gli spessori erano dimensionati per resistere all’offesa di proiettili da 203 poiché secondo le teorie dell’epoca il combattimento era ipotizzato contro navi armate dello stesso calibro; di fronte ad unità maggiori il combattimento doveva essere evitato sfruttando la maggiore velocità.
Completiamo la descrizione dello scafo riportando gli esponenti di carico (% del peso totale della nave) e comparandoli con quelli dei “Trento” (tra parentesi):
n scafo 41,9 (49,2)
n apparato motore 13,1 (22,4)
n protezione 24,8 (8,7)
n armamento 12,2 (10,0)
n allestimento e carichi vari 8,0 (9,7)
ORGANI DI GOVERNO
Le stazioni di governo erano cinque: quattro, dotate di trasmettitore idraulico, poste nella torre corazzata, la principale, nella plancia, nella camera ordini, nel locale girobussola di poppa, le secondarie; una dotata di trasmettitore meccanico nel locale pompe prodiero. Il passaggio da una stazione all’altra in caso di avaria o danneggiamenti richiedeva un tempo morto di un minuto primo. Due sistemi di tubolare, indipendenti tra di loro, correvano una a dritta l’altra a sinistra del cofferdam, collegando le varie stazioni.
Il timone del tipo semicompensato presentava una superficie di mq 29,33 per Zara e Fiume e mq 29,74 per Gorizia e Pola; la manovra, affidata a due motrici idrauliche Brown da 85 HP ognuna permetteva un angolo di barra massimo di 35°. In caso di emergenza la manovra era eseguita meccanicamente a mano dal locale agghiaccio.
L’angolazione del timone veniva trasmesso durante la manovra a due segnali a forma circolare e romboidale posti a sinistra sull’albero di maestra; dalla loro reciproca posizione, allineati orizzontalmente con timone per chiglia, sfalsati in altezza sotto accostata, per le navi in formazione era possibile seguire visivamente l’unità immediatamente di prora e procedere all’accostata ad un tempo.
SISTEMAZIONI DI ORMEGGIO
Nei due occhi di cubia ad estrema prora erano alloggiate due ancore di posta Hall del peso di 6,50 tonnellate su Zara e Fiume e due ancore F.M.A. da 6,69 tonnellate su Gorizia e Pola.
Una terza ancora uguale per le quattro unità, Hall da 1,80 tonnellate era sistemata verticalmente a murata a poppa sul lato sinistro; all’inizio della guerra fu sbarcata e tenuta in arsenale unitamente ad una quarta ancora Hall da una tonnellata prevista a centro nave.
Per le operazioni di affondamento e salpamento delle ancore di posta, due elettromotori da 80 HP, intercambiabili, azionavano due argani a salpare indipendenti, con ruota afferra catene (barbotin) e dotati di una soprastante campana di tonneggio per cavi; la dotazione di catene per ogni ancora di posta era di 11 lunghezze (1 lunghezza = metri 25).
Altri due argani serviti da due elettromotori da 40 HP venivano utilizzati per le manovre di tonneggio poppiero.
APPARATO MOTORE
L’apparato motore ubicato in due locali tra loro non comunicanti si componeva di due gruppi motrici a turbina tipo Parsons, tipo Yarrow sul Fiume, azionanti ciascuno un asse e sviluppanti una potenza totale di progetto di 95.000 HP.
Ogni gruppo era costituito da: una turbina di alta pressione (AP), una di bassa pressione (BP) con incorporata la turbina di marcia indietro (AD), un riduttore ad ingranaggi, un cuscinetto di spinta, un condensatore di vapore principale ed uno ausiliario.
La turbina di AP (peso 21 t.) era costituita da una ruota ad azione del diametro medio di 1.100 mm. Con tre file di palette e da un tamburo a reazione con nove espansioni. Le prime tre espansioni insieme alla ruota ad azione venivano utilizzate per l’andatura di crociera, le rimanenti sei espansioni per lo sviluppo di alte velocità. La turbina di BP era a reazione del tipo a doppio efflusso con le palette disposte su 22 doppie file; calettata sullo stesso asse, a proravia, ruotava la turbina AD costituita da una ruota ad azione e da un tamburo a reazione con tre espansioni; il peso complessivo delle turbine di bassa e di marcia indietro era di 56 tonnellate.
Un riduttore ad ingranaggi costituito da due rocchetti di acciaio al nichelio, collegati mediante un giunto elastico, uno alla turbina di AP l’altro alla turbina di BP, si ingranava con doppia dentatura elicoidale ad opposte inclinazioni, ad una ruota lenta del diametro di 2,55 m. accoppiata all’asse dell’elica.
La circolazione dell’olio per la lubrificazione di tutto il gruppo turboriduttore era assicurato mediante tre pompe alternative.
Le due eliche erano tripale, in bronzo, tipo Scaglia; quelle dello Zara e del Fiume avevano un diametro di 4,85 m., una superficie reale di 15,96 m2 (proiettata 14,15 m2 ) un peso di 16,26 t. ed un passo di 4,56 m.; quelle del Gorizia e del Pola un diametro di 4,65 m.; una superficie reale di 12,57 m2 (proiettata 11,27 m2 ), un peso di 12,60 t. ed un passo di 4,60 m. La loro rotazione per la marcia avanti guardando da poppa verso prora era in senso orario per l’elica di dritta, in senso antiorario per quella di sinistra.
Otto caldaie a tubi d’acqua Yarrow per il Fiume, Thornycroft per le altre unità, fornivano il vapore necessario alla pressione di esercizio di 25 kg./cm2 e con 60° C di surriscaldamento.
Sistemate in cinque compartimenti stagni, ognuna era alimentata con due turbopompe per l’acqua O.T.O. dalla portata totale di 314 t./h.; nove polverizzatori di nafta grandi e sette piccoli assicuravano la produzione di 160.000 kg./h. di vapore. Due pompe per l’aspirazione della nafta e due turboventilatori per fornire l’aria necessaria alla combustione servivano ogni locale caldaia. Vi erano inoltre due calderine ausiliarie in apposito locale sul ponte di batteria per assicurare la produzione di vapore, in porto, per i vari servizi di bordo.
All’altezza del fumaiolo poppiero, a sinistra sul ponte di batteria era ubicata la centrale di macchina dotata di tutti gli strumenti di controllo dell’apparato motore: vacuometri per i condensatori, manometri per il vapore, contagiri, indicatori di barra. Alla centrale facevano capo tutte le apparecchiature ausiliarie di bordo: pompe, generatori, rete antincendio ecc..
La dotazione di acqua per le caldaie variava da un minimo di 144,9 t. del Fiume ad u n massimo di 183,8 t del Pola; quella di nafta da un minimo di 2402,6 t. del Pola ad un massimo di 2528.1 t. del Fiume. I punti di imbarco della nafta erano cinque, quattro sul ponte di batteria, due per lato, ed uno sul ponte di coperta a sinistra, a mezza nave, previsto anche per il rifornimento di siluranti affiancate; per ogni punto di imbarco si utilizzavano tre prese da 150 mm. E quattro pompe, due elettriche e due a vapore; tempo massimo per il rifornimento 15 ore, tempo minimo 6 ore.
I tempi di approntamento al moto erano: in condizioni normali con caldaie spente e motrici non riscaldate, 6 ore, in condizioni di emergenza 4 ore e 30 minuti; in condizioni eccezionali e con motrici periodicamente riscaldate 1 ora e 50 minuti.
Alle prove i quattro incrociatori conseguirono buoni risultati, superiori a quelli stabiliti dai contratti anche se in condizioni particolarmente favorevoli per i dislocamenti minori a quelli reali operativi; in ogni occasione comunque la loro velocità massima fu sempre sui 32 nodi. Si riportano in tabella i valori medi relativi a due uscite in mare per prove.
Nel complesso si può affermare che la concentrazione di una potenza di oltre 100.000 HP effettivi su due soli assi, al fine di ottenere un risparmio di peso, fu certamente un successo di avanzata tecnologia.
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ZARA |
FIUME |
GORIZIA |
POLA |
Dislocamento (tonn.) Velocità max (nodi) Potenza max (HP) giri min. eliche (n.) |
10.883 34,55 109.295 279,51 |
11.233 32,65 110,793 288,70 |
10.865 34,40 114,325 272,70 |
11.005 33,95 101,417 267,90 |
SERVIZI DI SICUREZZA
Tutti i servizi di sicurezza della nave erano concentrati nella centrale principale ubicata in camera ordini e permanentemente presidiata sia in tempo di pace che di guerra; i servizi erano organizzati dal comandate in 2^ con la collaborazione dell’ufficiale G.N. (Genio Navale) allo scafo.
Dalle tre zone in cui era divisa la nave, la seconda delle quali, mediana, divisa in cinque sottozone, il personale preposto alla sicurezza trasmetteva le notizie di avarie in centrale; l’ufficiale G.N. allo scafo informava la torre di comando e la stazione di sicurezza secondaria situata in segreteria G.N.. Indi diramava gli ordini relativi al pronto intervento ai sottufficiali capizona mediante telefono e contemporaneamente confermandoli per iscritto mediante staffette.
La galleggiabilità era assicurata da una suddivisione in 18 compartimenti separati da paratie stagne; la compartimentazione trasversale permetteva la navigazione con tre locali contigui allagati. In caso di falle o vie d’acqua, oltre alla chiusura delle porte stagne entravano in funzione per l’esaurimento di grandi masse elettropompe da e375 mc./h.; in particolare poi i depositi munizioni erano serviti da due turbopompe da 375 mc./h. sistemate nei depositi 1 e 4.
In caso di sbandamento dell’unità si eseguiva il bilanciamento trasversale ponendo in comunicazione alzando le saracinesche, i depositi di nafta ed acqua di dritta e di sinistra.
Per il servizio antincendio vi era una tubolatura ad anelo posta sotto il ponte protetto e limitata come estensione al ridotto corazzato; tubolature di collegamento trasversale consentivano l’isolamento di eventuali tratti danneggiati della rete; la pressione veniva assicurata da 4 turbopompe da 60 mc./h., 4 elettropompe da 50 mc./h. e due elettropompe di riserva da 25 mc./h.. Nei vari locali da prora a poppa erano distribuiti circa settanta estintori a tetracloruro e una dozzina a schiuma.
Nel caso un eventuale incendio potesse interessare i depositi munizioni si procedeva al loro allagamento e contemporaneo innaffiamento a pioggia. Per i depositi inferiori, situati sotto la linea di galleggiamento, l’allagamento avveniva dal basso in alto mediante quattro Kingstons per deposito collegati direttamente con l’esterno; l’innaffiamento si effettuava analogamente per gravità. Attraverso due valvole per deposito situate sul copertino del deposito inferiore si faceva traboccare l’acqua nel deposito superiore ottenendone l’allagamento; all’innaffiamento si provvedeva con una tubolatura derivata da quella da incendio. Tutti i depositi munizioni erano saturati d’acqua dal basso in 20 minuti con i soli Kingostons, in 15 minuti azionando contemporaneamente l’innaffiamento dall’alto.
Per l’alleggerimento della nave in caso di incaglio era prevista l’espulsione di nafta, acqua, oli lubrificanti e lo scarico fuoribordo di munizioni, imbarcazioni ecc. per complessive 3,500 tonnellate.
SERVIZIO COMUNICAZIONI E SCOPERTA
I collegamenti nave-terra e nave-nave venivano assicurati da una stazione R.T. (radiotelegrafica) trasmittente principale collocata entro il ridotto corazzato all’altezza del torrione e da una stazione ricevente principale, spostata verso poppa per motivi di sicurezza, dotata di cinque ricevitori R.T.. Una stazione ricevente secondaria sprotetta situata sulla tuga del ponte di coperta oltre che di altri cinque ricevitori R.T. era dotata di un pannello trasmittente di riserva.
Per le comunicazioni a breve distanza tra nave e nave vi erano cinque apparati r.d.s. (radiosegnalatori) situati in apposito locale sulla tuga a poppa, in plancia, in torretta corazzata. Gli incrociatori classe “Zara” in quanto navi sedi di comando complesso, squadra o divisione, avevano la necessità di collegarsi con tutte le unità ammiraglie su diverse lunghezze d’onda, da cui la presenza di molteplici r.d.s..
Nella pratica i r.d.s. specie quelli su onda media interferivano frequentemente tra di loro ed erano disturbati dalle trasmissioni R.T.; questo inconveniente sarebbe stato rivolto da r.d.s. su onde corte o microonde ed in tal senso, agli inizi della guerra, sul Pola ammiraglia della 2^ Squadra erano in prova apparati di questo tipo. Ciò non toglie che le comunicazioni di preferenza venivano affidate tra i Comandi navali alle stazioni R.T. con messaggi cifrati e conseguenti tempi morti notevoli ed equivoci.
Le comunicazioni visive a breve distanza si basavano ovviamente oltre che sui proiettori, sui segnali con bandiere. La stazione segnali, ubicata sul tripode poppiero prendeva ordini direttamente dalle plance ammiraglio e comando mediante telefono diretto o posta pneumatica; da essa venivano tradotti in bandiere o gruppi di bandiere alzati a riva sulle sagole dei pennoni dell’albero di maestra.
Una rete telefonica generale metteva in comunicazione tutti i locali dell’unità da prora a poppa; reti secondarie erano limitate nell’ambito di uno stesso servizio.
Sul davanti del torrione, all’altezza della plancia ammiraglio, su apposite mensole ruotava l’antenna circolare di un radiogoniometro Siemens.
I proiettori di scoperta notturna erano quattro, tipo Galilei da 105 cm. E due su una piattaforma lateralmente al fumaiolo di poppa o leggermente indietro.
A questo proposito c’è da rilevare come la Marina Italiana non considerasse la possibilità di uno scontro notturno tra navi maggiori per cui non era stato previsto l’uso di proiettori asserviti alla condotta del tiro principale. Nella notte di Matapan per la prima volta ci si rese conto di come gli inglesi impiegassero i proiettori con micidiale precisione. Anche se ora dotati di radiotelemetro essi avevano tratto vantaggio dall’esperienza dello Jutland di venticinque anni prima dove fecero la nostra stessa amara esperienza; nella fase notturna di quella battaglia un incrociatore e cinque caccia, della retroguardia della Grande Flotta, furono colati a picco in poche ore dal preciso fuoco tedesco diretto da un abile e sconosciuto uso dei proiettori.
ALTRI SERVIZI ED IMPIANTI
La produzione di energia elettrica veniva assicurata da due centrali poste sopra i locali macchine, sulla sinistra di quello prodiero e sulla destra di quello poppiero. In ogni centrale la corrente continua a 220V era prodotta da tre turbodinamo Tosi (Zara e Fiume) o Ansaldo (Gorizia e Pola) da 180 KW azionate da proprie turbine ad azione; da un quadro principale poi era convogliata nei circuiti diretti ai vari utilizzatori.
Due dinamo ausiliarie erano collocate nelle torri 1 e 4. Il circuito luce di riserva si alimentava da 42 batterie di accumulatori al ferro-nichel.
Al riscaldamento dei locali provvedevano radiatori a circolazione di vapore saturo alimentati da tubolature derivate dal locale macchina di prora.
Per la refrigerazione dei depositi munizioni e dei locali direzionali protetti vi erano due macchine frigorifere a vapore d’acqua sistemate in appositi locali sul ponte di batteria a dritta ad estrema prora e sul ponte di corridoio a sinistra a poppa; si prevedeva una produzione di 50.000 frigorie/h. per centrale e per 16 ore giornaliere consecutive. Tre impianti frigoriferi minori servivano i depositi dei viveri.
Due impianti di distillazione
assicuravano una produzione giornaliera di 20 t. di acqua distillata potabile e
per le caldaie; vi erano poi una officina meccanica, una lavanderia, un forno
per il pane ed infine un infermeria all’estrema prora a sinistra sul ponte di
batteria con 10 posti letto.
ARMAMENTO
I primi cannoni da 203 mm. Costruiti in Italia per i “Trento” erano del tipo 203/50 A-1924 prodotti dall’Ansaldo con procedimento Schneider; tali armi erano ad autoforzamento con anima fissa, in numero di due per torre con culla unica, elevatore per munizioni unico e vincolati al caricamento con angolo fisso. I difetti maggiori risultavano la lentezza di tiro ed una notevole dispersione delle salve.
I 203 imbarcati sugli “Zara” presentarono notevoli miglioramenti: i pezzi erano ad anima sfilabile a freddo, a culla unica nelle torri binate ma con elevatori di rifornimento separati e con possibilità di caricamento a tutte le elevazioni. Inoltre abbassando la velocità inizia da 930 a 900 m./sec. Si ottenne una dispersione della salva più contenuta.
L’armamento principale fu quindi composto da:
8 cannoni da 203/53 Ansaldo - 1929
in quattro torri binate disposte per asse, due a prora e due a poppa; le torri 2 e 3 erano sopraelevate rispetto alle torri 1 e 4; il campo di tiro permetteva un brandeggio di 300°. I pezzi subirono durante la vita operativa diversi miglioramenti e modifiche per attenuare quei difetti che scaturivano dalla sistemazione in culla unica e dal sistema di caricamento per quei tempi abbastanza meccanizzato.
L’armamento secondario era composta da:
16 cannoni da 100/47 R.M. OTO - 1931
in otto complessi binati in funzione sia antinave che antiaerea. Il pezzo da 100 riproduceva lo Skoda navale austriaco; era ad anima facilmente ritubabile e poteva essere caricato a qualsiasi elevazione grazie al ginocchiello automaticamente variabile in funzione dell’elevazione. Buono per il tiro antinave in funzione del quale tendeva l’originale progettazione, si rivelò, come accade per ogni soluzione di ripiego, un mezzo di difesa antiaerea di modesta efficienza per l’impossibilità di tenere dietro con rapide variazioni angolari alla velocità sempre crescente degli aerei; impedimento che si accentuava con le oscillazioni causate dal moto ondoso.
I complessi binati erano disposti quattro per lato e precisamente: uno all’estremità del ponte di castello al lato del torrione, due sul ponte di coperta a mezza nave, uno su piazzola laterale della tuga all’altezza del fumaiolo poppiero. L’angolo di tiro era di circa 175° sul proprio lato.
L’armamento antiaereo leggero era costituito da:
4 mitragliere Wickers - Terni da 40/39
in impianti singoli e così disposti:
Zara - due impianti sul ponte di castello a proravia della torre 1 e due impianti sul ponte di coperta ad estrema poppa;
Fiume - due impianti sul ponte di castello ai lati del torrione e due impianti sul ponte di coperta ad estrema poppa;
Gorizia e Pola - tutti e quattro gli impianti raggruppati in posizione centrale, due ai lati del fumaiolo prodiero e due a poppavia dello stesso in posizione sopraelevata rispetto alla tuga..
Ed inoltre:
8 mitragliere Breda da 13,2 mm.
In quattro impianti binati e similmente disposti sulle quattro unità; due su una piazzola in cima al quadripode sotto la torretta del 1° D.T. e due su piazzole a metà altezza circa dei due montanti del tripode. La mitragliatrice da 13,2 costruita dalla Terni e derivata dalla Hotchiss era un’arma discreta per il tiro ravvicinato contro aerei a bassa quota, destinata però a divenire inutile contro aerei sempre più veloci.
L’armamento sino adeso descritto era quello con cui i quattro incrociatori entrarono in servizio. Negli anni successivi si ebbero delle modifiche: nel 1937 furono sbarcati i due impianti binati da 100/47 posti a poppa in posizione sopraelevata sulla tuga e sostituiti ognuno con due impianti binati per un totale di:
8 mitragliere da 37/54 Breda mod. 1932
che si rivelarono buone armi specialmente per il tiro diretto contro aerei in avvicinamento da bassa quota come gli aerosiluranti.
Tra il 1938 ed il 1939 furono sbarcati senza sostituzione le mitragliere da 40/39 perché obsolete. All’entrata in guerra l’armamento secondario ed antiaereo era quindi così composto:
n 12 cannoni da 100/47
n 8 mitragliere da 37/54
n 8 mitragliere da 13,2 mm.
Il Pola presentava una particolarità: due impianti da 13,2 erano posti sulla tuga ai lati del fumaiolo prodiero; in loro vece in cima al quadripode un proiettore sostituì i due delle ali di plancia, sbarcati.
Nei primi mesi di guerra.
2 obici illuminanti da 120/15 OTO
integrarono l’armamento su piazzole poste leggermente a poppavia della torre 2 del calibro principale.
Nel 1942, sul Gorizia, superstite della classe, venne potenziata la difesa antiaerea con altre 4 mitragliere da 37/54 in due impianti binati sostituenti gli obici illuminanti. Durante i lavori programmati dopo i danneggiamenti dell’aprile 1943 venne deciso di incrementare notevolmente l’armamento antiaereo con lo sbarco del 13,2 e l’installazione di 14 mitragliere da 20/65 in 6 impianti binati e 2 singoli; si possono vedere le piazzole predisposte per tali armi sul relitto dell’unità semiaffondato nel porto di La Spezia nel 1945.
Sulla classe “Zara” non furono previsti tubi lanciasiluri; e tale decisione confermata dell’impiego operativo dei nostri incrociatori pesanti non portò a recriminazioni; i “Trento” ed il Bolzano che ne erano dotati non compirono mai un attacco con il siluro.
DEPOSITO MUNIZIONI - MUNIZIONAMENTO
I depositi munizioni erano quattro, uno in corrispondenza di ogni torre del calibro principale, e suddivisi tra ponte di copertino superiore ed inferiore; nella parte sovrastante erano conservate entro scaffali le cariche da 203 mm.; nel sottostante i proiettili in appositi pozzetti. Il munizionamento dei pezzi da 100 mm. E delle mitragliere era suddiviso in ogni deposito tra i due ponti.
La dotazione normale complessiva di granate del calibro principale, salvo variazione minima tra nave e nave era di 100 colpi per bocca da fuoco e così suddivisi: 440 perforanti, 320 dirompenti con soletta O.Bo., 40 dirompenti con spoletta M.T.P.. Per il calibro secondario vi erano: 1200 granate antinave, 1200 antiaeree, 700 antinave V.R. (rampa ridotta), 480 antinave V.R. e C.L. (codetta luminosa), 1200 V.R. antiaerea. La dotazione degli obici illuminanti da 120 mm. Consisteva in 240 proiettili. Per le mitragliere vi erano 6.000 cartucce per 40/39 ed altrettante poi per le 37/54; 24.000 cartucce, metà traccianti e metà perforanti per le 13,2 mm.
L’imbarco delle munizioni da 203 si effettuava attraverso quattro portelli di carico, due per lato; per ogni portello una gruetta elettrica imbragava i proietti in posizione orizzontale e li depositava verticali in un’apposito carrello (capacità 650 kg.) scorrevole su ferroguide fisse nel ciclo del ponte di batteria, sporgent 3 m. fuori bordo e rientrabili. Il carrello veniva poi spinto sino alla verticale dello sbocco di un elevatore ed i proiettili, stipati in numero di quattro per volta in u un’apposita gabbia erano calati nei depositi; al loro arrivo la gabbia scorreva su di un piano a rulli da dove prelevati e trasportati con apposite tenaglie venivano collocati nei rispettivi pozzi mediante carrelli paranco della partata di 250 kg. Per il munizionamento da 100 il procedimento era identico, cambiando solo la gabbia dell’elevatore.
Il rifornimento di ogni pezzo da 203, previsto per quattro colpi al minuto, era assicurato sino alla camera travaso da un elevatore a noria sistemato entro la torre girevole; il proiettile e la carica erano poi portati direttamente in asse con il pezzo e pronti all’introduzione da un elevatore secondario. La manovra degli elevatori in caso di avaria avveniva a mano. I pezzi da 100 richiedevano un rifornimento di 12 colpi al minuto per complesso binato, mediante un elevatore a noria dal deposito al ponte di batteria e con trasporto a mano sino al ponte di coperta o castello.
Per il rifornimento delle mitragliere non vi erano particolari sistemazioni: secondo le necessità, a mano, i caricatori erano sistemati in apposite riservette in prossimità dei complessi; le mitragliere in coffa venivano servite da elevatori posti all’interno dei montanti.
* * *
E’ ora necessario accennare brevemente al munizionamento, delicato e preminente aspetto dell’offesa: cos’è infatti una nave da guerra se non un vettore di artiglierie?
La granata perforante era destinata a consentire la perforazione di piastre corazzate con una traiettoria di impatto formante al massimo un angolo di 30° con la normale alla piastra stessa; la successiva esplosione avveniva ben all’interno della nave nemica. La granata dirompente, dotata di un detonatore posto al centro della carica, all’impatto esplodeva sconquassando e distruggendo le strutture esterne. A parte la carica di lancio e la carica di scoppio, di cui non può sfuggire l’importanza della composizione e del dosaggio, il componente più delicato di un proiettile è la spoletta, destinata a comunicare l’accensione alla carica di scoppio. Il mancato funzionamento della spoletta può, ad esempio, far si che un proiettile attraversi un bersagli da parte a parte senza esplodere, viceversa può provocarne lo scoppio prematuro. La spoletta O.Bo. o la M.T.P. 30 messe a punto intorno al 1930 risultarono buone, sensibili quel tanto da funzionare sia per urto contro strutture leggere sia per l’effetto del rallentamento causato dal cuscino d’aria che si forma tra proiettile e bersaglio immediatamente prima dell’impatto.
Per il tiro notturno ci si serviva di granate V.R. in dotazione ai calibri sino al 152 mm. (203 esclusi dunque) e di proiettili illuminanti che, allo scoppio della spoletta regolata a tempo, liberavano un bengala; questo dondolando lentamente appeso ad un paracadute apertosi al momento del distacco, illuminava la scena per 30, 40 secondi. Si poteva seguire anche il tiro battente alternando al normale munizionamento proiettili dotati di C.L..
Di giorno il tiro delle mitragliere veniva seguito mediante proiettili traccianti che lasciavano una scia luminosa.
Un inconveniente delle nostre artiglierie, a cui non si riuscì mai a porre rimedio, fù un’alta dispersione del tiro, cioè un’apertura della salva causata dalla differenza di peso dei proiettili. La tolleranza ammessa produceva una variazione della velocità iniziale dei proiettili, con apertura della salva, per i due 203 di una torre, valutabile anche sui 150 ad una distanza di 20.000 metri; spesso la situazione si aggrava anche per la differenza di peso delle cariche.
DIREZIONE DEL TIRO
La stazione principale di tiro del 1° D.T. ruotava sul quadripode ad un’altezza di 18,3 metri sul ponte di castello, quella del 2° D.T. sopra la torre di comando; ogni stazione era dotata di A.P.G. (apparecchio punteria generale) San Giorgio, inclinometro e telemetro stereoscopico da 5 m.. In ciascuna torre sopraelevata da 203 inoltre una stazione di tiro ridotta si avvaleva di unno stereotelemetro da 7 m.
I dati rilevati dalle stazioni venivano convogliati nella centrale di tiro situata nel torrione sul corridoio della torre della torre 2; un mobile di smistamento prevedeva otto combinazioni possibili di condotta del tiro del 203 tra cui:
n 4 torri dirette dall’A.P.G. del 1° D.T. in condizioni normali;
n 4 torri dirette dell’A.P.G. del 2° D.T. con 1° D.T. in avaria;
n torri poppiere dirette dal 1° D.T. e torri prodiere dal 2° D.T. per battere due bersagli simultaneamente;
n 2 torri di ogni gruppo con tiro autonomo di retto dalla torre sopraelevata;
n 4 torri con tiro autonomo.
Le rimanenti combinazioni erano programmate secondo le avarie riportate in combattimento.
Il tiro del calibro secondario veniva diretto da due centrali secondarie poste sul torrione, una per lato e dotate ognuna di A.P.G. per il tiro antinave e servite da un telemetro da 3 m. e da uno stereotelemetro da 3 m. ruotante sull’ala dello stesso lato, della struttura sviluppata intorno al tripode.
Per il tiro notturno e contro sommergibili in luogo delle A.P.G. secondarie subentravano due colonnine di punteria poste sui lati della plancia vedette del torrione, invianti contemporaneamente alzo e brandeggio ai proiettori del proprio lato.
Nelle ore notturne i dati di tiro erano anche trasmessi al 2° D.T. per l’eventuale supporto dei 203.
Il tiro antiaereo era diretto anche dalle colonnine per il tiro notturno dotate di appositi calcolatori grafici; le vedette antiaeree con binocoli coprivano tutti i settori di vigilanza dalla plancia ammiraglio. Analogamente le vedette antisiluranti diurne e notturne agivano da quattro stazioni per lato, sul torrione, e dotate di binocoli fissi per settori.
AEREI E CATAPULTAMENTO
Similmente ai “Trento” gli “Zara” furono dotati di una catapulta prodiera tipo Cagnotto; si è già accennato nei precedenti volumetti come tale sistemazione fosse piuttosto infelice. Infatti l’aereo tenuto sempre pronto al lancio in missione di guerra, era soggetto ai colpi di mare, intralciava il tiro dei cannoni e risentiva gli effetti della concussione; ragion per cui spesso veniva tolto di mezzo prima di un’azione a fuoco catapultandolo poiché era molto più problematico il ricovero nell’aviorimessa.
Questa era ubicata immediatamente a proravia della torre 1 dea 203; si estendeva in profondità dal ponte di castello sino al ponte di batteria (altezza quindi di due interponti) ed era lunga 13,7 metri. Superiormente era chiusa da due portelli scorrevoli, aperti i quali uno dei due aere imbarcati, il terzo in dotazione alla nave a rotazione era sbarcato per revisione, veniva portato a livello del ponte di castello da un elevatore idraulico. Quindi mediante un apposito picco di carico della portata di 4 tonnellate, azionato dalla campana di tonneggio di uno degli argani a salpare, collocato sull’apposito carrello di lancio scorrevole sulla catapulta. La corsa del carrello spinto ad aria compressa era di 16,2 metri; arrivato all’estrema prora questo si arrestava fornendo un ulteriore impulso all’aereo mediante un congegno a molle di acciaio poste nei montanti del carrello stesso. A nave ferma la velocità massima al decollo era di 31,5 m/s..
All’entrata in servizio degli “Zara” il previsto aereo Piaggio 6bis non fu imbarcato perché superato; successivamente furono sperimentati il Macchi M40 ed M41. Nel 1935 fu imbarcato stabilmente il Cant25 AR; nel 1937-1938 venne imbarcato definitivamente l’I.M.A.M. Ro.43 che rimase per tutta la durata della guerra l’idrovolante da ricognizione imbarcato su corazzate ed incrociatori e nonostante la limitazione del suo impiego (lancio, esclusiva ricognizione e rientro alla base marittima più vicina) rese ottimi servizi alle unità della Squadra, anzi per la mancanza di apparecchi radiolocalizzatori ne fu sempre l’occhio lontano almeno per le ore di luce.
E’ da menzionare una curiosità. Nel 1935 sul Fiume venne sistemato un ponte di volo a poppavia per l’appontaggio di autogiri “La Cervia”, precursori abbastanza rudimentali dell’elicottero e mai andati oltre la fase sperimentale.
Sul Gorizia unico incrociatore superstite della classe, conformemente ad un indirizzo generale adottato per gli incrociatori della Squadra, nel gennaio 1943, venne ridotta la componente aerea ad un solo Ro.43 da tenersi nell’aviorimessa unitamente ai pezzi di rispetto indispensabili. Lo spazio così risparmiato era destinato a migliorare l’abitabilità per sottufficiali ed equipaggio.
* * *
Merita sicuramente un cenno la descrizione dell’approntamento al lancio dell’idro di bordo. Presa la decisione, in genere su ordine dell’ammiraglio comandante la divisione, il comandate a mezzo di banderuole dalle ali di plancia segnala di inziasre i preparativi; il pilota (ufficiale dell’Aeronautica) e l’osservatore (ufficiale di Marina) prendono posto a bordo. Il motore viene posto a lento regime, sono misurate la velocità del vento e la pressione delle bombole ad aria compressa; il comandante in 2^, accanto alla catapulta segnala l’O.K. in plancia; il motore è ora a mezza forza. Sempre a mezzo di banderuole il comandante ordina il via. Viene aperta la saracinesca di intercettazione dell’aria. Il motore è ora a tutta forza. Il pilota con il braccio dà il “pronto” al comandante in 2^, questi lo segnala al capo servizio G.N. che lo trasmette all’ufficiale allo scafo pronto alla valvola di lancio.
SISTEMAZIONI PER IL DRAGAGGIO
Come per le unità maggiori il dragaggio autoprotettivo era affidato a due paramine divergenti di tipo C che rimorchiati da p rora mediante catene fissate sotto il bulbo dragavano una zona di 15 metri di profondità e di larghezza massima per ogni lato di circa settanta metri. Con tale apparecchiatura di dragaggio la nave rimaneva preda di qualche mina solo se malauguratamente questa si fosse trovata proprio di fronte alla prora; in ogni altro caso le catene dei paramine provvedevano a tranciare i cavi di ancoraggio delle mine; queste venivano a galla e fatte esplodere con il tiro delle mitragliatrici.
I paramine erano normalmente alloggiati sul ponte di castello ai lati della torre 2 dei 203, due a sinistra ed uno a destra e sul Pola uno a sinistra e due a destra. Vi era quindi un terzo apparecchio di riserva.
FUMOGENI E NEBBIOGENI
Emettere cortine di fumo durante le fasi balistiche di uno scontro per ripararsi, per nascondere bersagli o per rompere il contatto fu un valido espediente usato da tutte le Marine belligeranti.
Sugli “Zara” erano installati quattro fumogeni a nafta, due per fumaiolo, alloggiati all’interno e collegati ai condotti a fumo delle caldaie. In porto, a caldaie spente, la difesa passiva dell’unità veniva affidata a due nebbiogeni a cloridina posti a poppa; unitamente alle similari apparecchiature piazzate numerose nelle basi navali, in caso di allarme aereo, in breve tempo una fitta nebbia copriva le unità all’ancora e le installazioni.
IMBARCAZIONI
Sulla tuga a centro nave e su appositi ponti volanti a giorno sui lati della tuga stessa, erano sistemate le imbarcazioni, normalmente un motoscafo, due motobarche, due dieselbarche, due lance insommergibili; due zatterini erano sul ponte di castello.
In missione di guerra le imbarcazioni facili fonti di schegge o prede di incendi venivano lasciate per la maggior parte nelle basi; in loro vece erano collocati numerosi zatteroni insommergibili, i Carley, per l’equipaggio in caso di affondamento. Inizialmente grigi, nel corso del conflitto i Carley presentavano strisce alternate rosse e gialle per essere facilmente individuati nelle operazioni di ricerca.
Per la messa in mare ed il recupero delle imbarcazioni, alla base dell’albero di maestra vi era un picco di carico della portata di 12 tonnellate servito da due verricelli elettrici, uno per il paranco e l’altro per l’ammiraglio.
PITTURAZIONE NORMALE E MIMETICA
All’entrata in servizio la colorazione, uniforme, era il grigio cenere chiaro comune a tutte le unità della Regia Marina sin dal 1929. Quando il 18 gennaio 1941 Supermarina diramò al Comando Squadra, sul “Veneto”, disposizioni per procedere a tentativi di mimetizzazione delle unità, furono presi in considerazione due incrociatori in quel momento ai lavori a La Spezia: il Fiume ed il Duca d’Aosta.
Il 21 dello stesso mese da Maricost del Ministero vennero inviati gli schemi sperimentali elaborati dal maggiore G.N. Petrillo per la pitturazione delle due unità. Tali schemi avevano scopi diversi: quello adottato sull’Aosta e poi riprodotto su tre corazzate presentava una doppia spina di pesce per disturbare il telemetraggio; quello adottato sul Fiume alterava la sagoma dell’unità rendendone difficile il riconoscimento. Presentava chiazze in grigio azzurro scuro i cui bordi sfumati conducevano ad altre chiazze in grigio chiarissimo tendente al verde.
I primi di marzo del 1941 il fiume rientrò in squadra con tale nuova veste; non è possibile esprimere un giudizio sullo schema di mimetizzazione poiché non fu poi riportato su altre unità; e del breve lasso di tempo, meno di un mese, in cui il Fiume era alla boa in Mar Grande a Taranto esiste soltanto una foto molto sfocata che non consente di poter tracciare con sicurezza le separazioni tra i due tipi di chiazze.
La mancanza tra l’altro di un disegno dell’epoca non permette ora di azzardare un tale schema.
Il Gorizia nel marzo 1942 adottò una mimetizzazione tipo Claudius con parti in grigio cenerino scuro separate con linee rette e curve da uno sfondo in grigio cenerino chiaro; a prora ed a poppa ed in centro vi erano delle parti bianche che alla fine dello stesso anno mutarono in grigio chiaro. Questo schema di mimetizzazione rimase sino alla fine del conflitto; nel 1945 era visibile sul relitto affondato a La Spezia.
CONSIDERAZIONI TECNICHE - CONCLUSIONI
Gli “Zara” sono stati sin qui descritti in maniera particolareggiata, pregi e difetti messi in risalto in ogni loro aspetto; non rimane quindi molto da aggiungere come commento finale.
E’ utile semmai presentare una tabella comparativa dei “Washington” sia della prima che della seconda generazione, in cui sono messi a confronto unità di diverse Marine nelle loro caratteristiche più significative; in particolare si possono rapportare al dislocamento la potenza dell’apparato motore e la protezione. Se poi contrapponiamo la protezione alla velocità iniziale ed al peso dei proiettili da 203, cioè maggior forza di penetrazione, si possono ipotizzare le situazioni di supremazia di unità sull’altra; ad esempio uno “Zara” sulla carta poteva contrapporsi alla pari ad un Wichita o ad un Algerie, godeva di una certa superiorità su tutti gli altri. E’ facile quindi affermare come essi risultarono i migliori incrociatori pesanti della loro generazione ed in assoluta tra le migliori navi costruite in Italia.
La guerra fu il più spietato banco di prova di queste navi e superiorità tecnologica, supremazia quantitativa, potere aereo e organizzazione ebbero la meglio su tutti i mari su unità singolarmente più valide di altre. Sino al 1945 ben 81 incrociatori pesanti parteciparono agli eventi bellici (tra parentesi le perdite): 31 (7) statunitensi, 18 (18) giapponesi, 15 (5) inglesi, 7 (7) italiani, 7 (4) francesi, 3 (2) tedeschi. Le perdite divise per cause furono: 14 per azione aerea, 11 per azione navale, 8 per cause vaire (autoaffondamenti, collisioni, ecc.), 5 per siluramento, 4 per azioni combinate navali ed aeree, 1 per tiro di batterie costiere.
KENT
(GB)
TRENTO
(IT)
DOOUQUESNE
(FR)
FURUTAKA
(GIA)
PENSACOLA
(USA)
ZARA
(IT)
ALGERIE
(FR)
TAKAO
(GIA)
WIGHITA
(USA)
Dislocamento standard (tonn)
9.850
10.511
10.000
9.150
9.100
11.870
10.000
13.160
9.324
Velocità (nodi)
31.5
35.0
36.0
33.0
32.5
33.0
32.0
34.5
32.5
Potenza (HP)
80.000
150.000
120.000
103.000
107.000
95.000
84.000
133.000
100.000
Prot.vert.(mm)
76
70
30
76
76
150
110
102
127
prot oriz (mm)
32
50
30
50
51
70
80
76
76
Armamento principale
8-203/50
8-203/50
8-203/50
6-203/50
10-203/50
8-203/50
8-203/50
10-203/50
9-203/50
Peso proiettili
120
118,5
123
113,5
118
118
123
113,5
125
Velocità iniziale(m.sec.)
960
835
870
853
900
900
870
853
915
* * *
nella notte sul 29 marzo 1941 in cui tre unità della classe andarono perdute, tra le cause della tragedia due si rivelarono fondamentali: una tecnica, poiché si ignorava il possesso da parte inglese di radiolocalizzatori; una tattica perchè si riteneva che anche presso di essi vigesse il criterio di non impegnare in combattimento notturno le navi maggiori.
Questo criterio è criticabile ma fino ad un certo punto; in una Marina giovane di formazione come l’italiana, la ricerca e la messa a punto di tattiche di guerra si basava, in mancanza di una secolare tradizione propria, principalmente nello studio delle azioni navali della 1^ Guerra Mondiale, azioni che videro grandi protagoniste le Marine alleate e nemiche; ne derivava che non impegnare combattimento dopo il tramonto era un dogma. Nello stesso tempo la posizione acquisita di fatto di grande potenza navale, alla pari di nazioni che lo erano tradizionalmente da secoli, portava a compiacersi della propria potenza numerica e a non spingersi in quelle ricerche e sperimentazioni che avessero del nuovo. Di notte quindi solo le artiglierie dei caccia dovevano essere pronte a far fuoco, quelle delle navi maggiori no, anzi le navi maggiori non dovevano neanche essere poste in condizioni di essere impegnate in azioni a fuoco.
Cecità tattica? Certamente, ma con il senno di poi. E tale cecità o ostinazione a negare a priori altre possibilità, non furono anche pecche di altre Marine, forti di plurisecolari tradizioni, ed in tutte le epoche? Basterà fare un solo esempio andando a ritroso nel tempo e neanche di tanto, alla battaglia dello Jutland combattuta 25 anni prima del 1941. Nella fase notturna di quello scontro, cui si è già accennato, quattro incrociatori da battagli inglesi ne incrociarono uno tedesco, che danneggiato ed isolato cercava la rotta di rientro; essi non spararono un colpo. A causa degli insegnamenti di tutta una vita, ammiragli e comandanti erano convinti che l’ordine di aprire il fuoco dovesse venire dal comando in capo o dallo stato maggiore.
* * *
E’ interessante notare come i sette incrociatori pesanti italiani portavano sul mare i nomi delle sette città di lingua italiana entrate a far parte del Regno con la vittoria nella Grande Guerra.
Trieste, Trento, Bolzano e Gorizia unico superstite, nel 1945 era un relitto semiaffondato.
Zara, Fiume e Pola furono dolorosamente persi in un’azione notturna che fu tale solo per il nemico, che per noi è più appropriato parlare di agguato, di trappola mortale favorita da un’insieme incredibile di negative circostanze. Anche alla luce delle più recenti rivelazioni, come l’esistenza di Ultra, non si può non amaramente constatare come solo il siluramento aereo all’imbrunire del Pola portò al massacro di uomini e navi a Matapan. Dinanzi al Pola muto testimone lo Zara fu colpito da quattordici salve da 381, il Fiume da tre; ogni salva, ciascuna di sei, otto proiettili dal peso di circa una tonnellata ebbe effetti micidiali.
Chi non vede in una nave da guerra solo cannoni e corazze, ma coglie lo spirito che ne emana reso animato da comandanti ed equipaggi, non può disgiungere questo dal nome che la nave porta. E tale spirito e tale nome si uniscono e si confondono nella mente di chi ad occhi socchiusi, andando a ritroso nel tempo, pensa a queste navi, Zara, Fiume, Gorizia e Pola se queste navi ha avuto ventura di vedere. A chi è più giovane ciò non è precluso: quanti dei lettori nati dopo la guerra, non provano altrettanto solo guardando le immagini, uniche superstiti di quelle navi?